Possibile dichiarazione infedele per il prestanome amico dell’amministratore
Per la Suprema Corte il dolo eventuale è applicabile anche al reato di cui all’art. 4 del DLgs. 74/2000
L’aver accettato di rivestire, per amicizia, la carica di amministratore di una società, e aver sottoscritto le dichiarazioni senza operare alcun controllo, rende un soggetto pienamente responsabile del reato di dichiarazione infedele.
In tema di reati tributari, infatti, il dolo specifico richiesto per integrare i delitti dichiarativi – rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione) – è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’IVA.
Tale affermazione è prevalente nella giurisprudenza in materia di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000, ma, secondo la sentenza n. 34191 depositata ieri dalla Cassazione, è certamente applicabile anche alla fattispecie di dichiarazione fraudolenta prevista dall’art. 4 del medesimo decreto (cfr. Cass. nn. 52411/2018 e 12680/2020).
Nel caso esaminato dalla sentenza in commento veniva appunto contestato il reato di dichiarazione infedele all’amministratore di una srl, attiva nell’ambito della formazione.
Costui risultava essere un mero prestanome del reale “dominus”, con funzioni di mero addetto ai corsi di formazione, in assenza di qualsiasi tipo di ingerenza fattuale nella gestione societaria. L’amministratore si difendeva precisando, dunque, che era ignaro dell’esistenza di un sistema illecito che utilizzava fatture emesse da una società straniera e che le dichiarazioni fiscali erano predisposte dal commercialista. Secondo la difesa non erano quindi ravvisabili i presupposti della macroscopica illegalità dell’attività svolta e della consapevolezza di ciò, da parte del prestanome, individuati dalla giurisprudenza quali elementi sintomatici idonei a fondare una responsabilità per dolo.
La Cassazione è di diverso avviso. Come detto, i giudici ritengono applicabile l’indirizzo interpretativo che riconosce la rilevanza del dolo eventuale sulla scorta di plurime convergenti indicazioni. Innanzitutto viene valorizzato il risalente rapporto fiduciario che legava il soggetto in questione al proprietario della società. Da qui, viene affermato che la conseguente accettazione della carica amministrativa era avvenuta nella piena consapevolezza del fatto che il “dominus” corresse “rischi” nel comparire ufficialmente come amministratore della società, nonché l’accettazione, in tale contesto di “rischi”, “di essere esautorato da quest’ultimo nelle funzioni gestionali”.
Inoltre, pur essendo mero prestanome, tale amministratore svolgeva essenziali funzioni all’interno della società, sia come docente nei corsi di formazione sia come soggetto deputato a coordinare gli altri docenti, dei quali era il riferimento.
Attraverso questi elementi è stata motivata l’esclusione dell’ipotesi per cui l’imputato fosse un soggetto marginale, del tutto estraneo e all’oscuro delle vicende della società, come tale ignaro del fatto che proprio la specifica attività professionale fosse soggetta al pagamento dell’IVA.
Su tali basi, e alla luce delle condizioni personali dell’amministratore unico (soggetto non esperto di contabilità, ma “culturalmente attrezzato”, oltre che a conoscenza dei meccanismi di funzionamento della realtà imprenditoriale in cui si trovava a operare), viene ritenuto che costui fosse pienamente consapevole degli obblighi inerenti alla carica rivestita e responsabile delle condotte penalmente rilevanti.
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41