La «sorpresa archeologica» non integra la forza maggiore per la prima casa
Lo afferma la Cassazione in contrasto con un precedente del 2013
La “sorpresa archeologica” ovvero la scoperta, durante la ristrutturazione dell’abitazione acquistata con l’agevolazione prima casa, di reperti di interesse archeologico, che comportano la sospensione dei lavori per ordine della Soprintendenza, non integra una situazione di “forza maggiore” e, quindi, non è in grado di evitare la decadenza dal beneficio per mancato trasferimento della residenza nel Comune. Lo afferma la Cassazione con l’ordinanza n. 29069, depositata il 3 novembre 2025.
Nel caso di specie, un contribuente aveva acquistato un immobile abitativo a Verona, applicando le agevolazioni prima casa, che gli avevano consentito di applicare l’IVA del 4% e l’imposta sostitutiva mutui con l’aliquota dello 0,25%. Al fine di applicare i benefici prima casa, l’acquirente aveva assunto, in atto, l’impegno a trasferire la residenza nel Comune di Verona entro 18 mesi dall’acquisto, come richiesto dalla Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86, che enuncia i presupposti per l’accesso all’agevolazione.
Tuttavia, il contribuente non aveva adempiuto l’obbligo di trasferimento, con la conseguenza che l’Agenzia delle Entrate aveva rinvenuto la decadenza dal beneficio, richiedendo le maggiori imposte (IVA e imposta sostitutiva mutui), oltre a sanzioni e interessi.
Il contribuente, però, aveva adito la Commissione tributaria, sostenendo che la decadenza per mancato trasferimento della residenza nel termine di 18 mesi dovesse ritenersi esclusa, nel suo caso, in ragione del verificarsi di una situazione di forza maggiore, rappresentata dall’improvvisa e imprevedibile interruzione dei lavori di ristrutturazione sull’immobile, dovuta al ritrovamento di reperti che avevano spinto la Soprintendenza ai beni ambientali e archeologici a sospendere i lavori sull’immobile.
Si ricorda, infatti, che secondo la giurisprudenza, la decadenza dall’agevolazione può essere evitata ove il mancato soddisfacimento della condizione agevolativa sia diretta conseguenza del verificarsi di un evento imprevedibile, inevitabile e non riconducibile al contribuente (ovvero un evento c.d. di “forza maggiore”).
Facendo leva su questo orientamento, il contribuente riteneva, quindi, che la sospensione dei lavori di ristrutturazione, conseguente dalla sorpresa archeologica, nel suo caso integrasse una situazione di forza maggiore, idonea a giustificare il mancato trasferimento della residenza nei 18 mesi dal rogito.
La Suprema Corte, chiamata a decidere la questione, non accoglie le ragioni del contribuente, negando la sussistenza della “forza maggiore”.
I giudici di legittimità, infatti, pongono in rilievo il fatto che la norma in tema di agevolazione “prima casa” (Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86) non richiede che il contribuente trasferisca la residenza nell’immobile acquistato, bensì nel Comune in cui essa si trova. Ciò comporta che “ai fini dell’apprezzamento della forza maggiore, deve aversi riguardo al trasferimento della residenza nel Comune ove è sito l’immobile acquistato, ma non necessariamente all’interno di quella unità immobiliare”.
Ne deriva, secondo il ragionamento della Cassazione, che la forza maggiore nel caso di specie non risulti integrata, in quanto la sorpresa archeologica non aveva impedito al contribuente di trasferire la residenza nell’intero Comune di Verona, ma solo nell’immobile acquistato.
La conclusione accolta dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 29069/2025 si scontra con un precedente in senso opposto (Cass. 7 giugno 2013 n. 14399), concernente un altro caso di “sorpresa archeologica”. Inoltre, si rileva che, nel valorizzare la possibilità di trasferire la residenza nel Comune (invece che nell’immobile agevolato) l’orientamento recente di Cassazione si risolve nella necessità, per il contribuente, di procurarsi la detenzione di un altro immobile in quel Comune, in cui trasferire la residenza, gravandolo, così, di un ulteriore onere non previsto dalla norma.
Nella pronuncia esaminata, poi, emerge un ulteriore punto interessante.
Va ricordato, infatti, che la norma concede l’agevolazione prima casa, alternativamente al soggetto che, nel Comune in cui si trova l’abitazione:
- abbia la residenza (o si impegni ad acquisirla entro 18 mesi);
- o svolga la propria attività.
Tuttavia, spiegano i giudici di legittimità, l’agevolazione è vincolata alle dichiarazioni rese in atto. Pertanto, se anche il contribuente svolgeva la propria attività nel Comune al momento del rogito, ma non lo ha dichiarato, impegnandosi, invece, in atto a trasferire la residenza entro 18 mesi, non potrà, in un secondo momento, far valere la condizione relativa all’attività lavorativa, “perché la spettanza del beneficio deve essere valutata solo in base al criterio dichiarato”.
Inoltre – conclude la Cassazione – neppure un atto rettificativo e integrativo dell’originario contratto, volto a dichiarare lo svolgimento dell’attività lavorativa nel Comune al momento del rogito, potrebbe evitare la decadenza, se intervenuto dopo lo scadere dei 18 mesi per il trasferimento della residenza.
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