Valutazione dell’inadempimento oggettiva per la risoluzione del concordato
La natura anche pubblicistica dell’istituto esclude il rilievo dell’imputabilità della colpa
Il concordato preventivo è un istituto avente una natura negoziale, contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici, e conduce, all’esito dell’omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa, ove la massa dei creditori ha consistenza composita e plurisoggettiva (Cass. n. 18738/2018).
Il concordato integra, quindi, un accordo tra il debitore e la generalità dei creditori, pertanto, secondo l’interpretazione prevalente, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento, ai fini della sua risoluzione, deve essere parametrata agli obblighi del debitore e non al singolo rapporto obbligatorio con i creditori.
La risoluzione della procedura per inadempimento muove da una valutazione degli interessi dell’intera massa dei creditori, da compiersi mediante un giudizio sulla tenuta complessiva del piano che trascende l’interesse concreto del singolo creditore.
A tal fine, è rimessa al giudice la valutazione circa il presupposto della “non scarsa importanza” o della “gravità dell’inadempimento”, intesa come scostamento tra quanto previsto dal piano omologato e l’importo erogato allo scadere del termine indicato ai fini dell’esecuzione del concordato.
La risoluzione può essere disposta ove non vi sia una soddisfazione (neppure minima o irrisoria, al fine di potere ritenere come integrata la “causa in concreto” del sinallagma concordatario) dei creditori chirografari in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti, oltre l’integrale dei privilegiati, al netto dell’eventuale degrado di cui all’art. 160 comma 2 del RD 267/42 in caso di concordato liquidatorio.
Il concordato preventivo, ex art. 186 del RD 267/42, infatti, deve essere risolto qualora emerga che esso sia venuto meno alla funzione di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari e integralmente quelli privilegiati non falcidiati, salvo che l’inadempimento abbia scarsa importanza, tenuto conto della percentuale di soddisfacimento indicata nella proposta (Cass. n. 20652/2019).
L’imputabilità o meno al debitore dell’inadempimento alle obbligazioni assunte nei confronti del ceto creditorio con il concordato preventivo omologato, invece, è irrilevante attesa la natura negoziale della procedura, contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici.
I principi generali in materia di inadempimento contrattuale, ex artt. 1218 e 1455 c.c., quindi, non troveranno piena applicazione nella fattispecie concordataria.
L’impossibilità di realizzare la soddisfazione dei creditori richiede solo una valutazione dell’inadempimento in senso oggettivo, nella sua dimensione e consistenza, tenuto conto, quindi, del raggiungimento del risultato satisfattivo.
Tale soluzione, da ultimo adottata dal Tribunale di Milano con sentenza n. 6076 del 21 luglio 2025, trova conferma nella disciplina di cui all’art. 186 del RD 267/42, che collega il ricorso per risoluzione del concordato preventivo ad un inadempimento, di non scarsa importanza, a valenza oggettiva, che prescinde dall’imputabilità con colpa.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori deve essere risolto qualora emerga che la procedura sia venuta meno alla sua funzione e ciò presuppone che le somme ricavabili dalla liquidazione dei beni ceduti si rivelino insufficienti a soddisfare, anche in minima parte, i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati.
Non assumerebbe rilievo l’eventuale colpa del debitore, che, con la consegna dei beni, ha esaurito la sua prestazione, quando non sia prevista la sua liberazione immediata, operando il trasferimento in favore degli organi della procedura della legittimazione a disporre dei beni ceduti ex art. 1977 c.c. (Cass. nn. 7942/2010 e 4398/2015).
Il mancato soddisfacimento anche in misura minima – quando non irrisoria – delle ragioni del ceto creditorio chirografario, rende privo di causa in concreto il concordato omologato (Cass. SS. UU. n. 1521/2013).
A margine dell’intervento, il Tribunale di Milano, inoltre, ha rimarcato come l’accertamento dello stato di insolvenza di una società non in liquidazione è desumibile dalla possibilità dell’impresa di continuare ad operare sul mercato fronteggiando con mezzi ordinari le proprie obbligazioni.
I beni e i crediti che compongono il patrimonio sociale vanno considerati non solo per il loro valore di mercato, ma anche in rapporto all’attitudine ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti, senza compromissione dell’operatività dell’impresa (Cass. n. 30284/2022).
L’impossibilità dell’impresa di continuare ad operare sul mercato si traduce in una situazione d’impotenza strutturale a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, per il venir meno delle condizioni necessarie allo svolgimento dell’attività (Cass. n. 7087/2022).
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