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L’inerzia «qualificata» del curatore esclude la legittimazione del fallito

Il totale disinteresse degli organi fallimentari sblocca la capacità processuale

/ Antonio NICOTRA

Martedì, 25 novembre 2025

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Con l’ordinanza n. 30732, pubblicata il 21 novembre 2025, la Corte di Cassazione ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, al di fuori dell’ambito tributario – ove rileva, in ragione della specialità e peculiarità dell’obbligazione tributaria, anche la mera inerzia del curatore fallimentare (Cass. SS.UU. n. 11287/2023 – la c.d. capacità processuale suppletiva” del fallito sussiste solo laddove l’inerzia del curatore, sulla base di un accertamento riservato al giudice, non sia frutto di una scelta consapevole degli organi della procedura, come avviene quando l’organo fallimentare abbia assunto la qualità di parte del giudizio, anche se contumace.

Solo nei rapporti di natura personale o patrimoniale non compresi nel fallimento, a norma dell’art. 46 del RD 267/42, invece, il fallito conserva un’autonoma legittimazione sostanziale e processuale. Il comma 2 dell’art. 43 del RD 267/42 prevede, in via di eccezione, che il fallito possa intervenire nel giudizio in cui sia parte il curatore, ma solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta, o se l’intervento è previsto dalla legge (come nel giudizio di rendiconto ex art. 116 del RD 267/42 e di omologazione del concordato fallimentare ex art. 129 del RD 267/42).

Si tratta di una forma di “intervento adesivo dipendente” (cfr. Cass. n. 32634/2023), in quanto il fallito non fa valere un proprio diritto nei confronti di tutte le parti, ampliando la materia del contendere (come nell’intervento principale), né fa valere un proprio diritto nei confronti di una delle parti (come nell’intervento adesivo autonomo), ma si limita a far valere il proprio interesse giuridico, e non di mero fatto, a sostenere le ragioni di una parte (la curatela fallimentare) per l’effetto riflesso che l’esito del giudizio potrebbe determinare nella sua sfera giuridica.

In termini generali, salve le eccezioni di legge (ad esempio, ex artt. 46 e 43 comma 2 del RD 267/42), dall’art. 43 comma 1 del RD 267/42 42 (corollario del c.d. spossessamento del fallito ex art. 42 del RD 267/42) si rinviene il principio in base al quale il fallito non ha un’autonoma legittimazione a impugnare.

Il fallito non è, inoltre, in possesso di una capacità processuale “concorrente” con quella del curatore, dovendo la sua legittimazione escludersi ogni qual volta il curatore abbia assunto la qualità di parte, salvo i casi previsti dalla legge.
Una ipotesi di legittimazione processuale del fallito, di tipo suppletivo, invece, prende origine da una inerzia della curatela idonea a rendere il rapporto patrimoniale “de facto” non compreso nel fallimento (Cass. nn. 9510/2023 e 31843/2019).
Dalla sentenza di fallimento, infatti, non scaturisce la perdita della titolarità dei rapporti patrimoniali del fallito acquisiti alla procedura, ma la semplice sottrazione del potere dispositivo su di essi; quei rapporti vengono appresi alla massa, affinché li gestisca il curatore in via esclusiva (art. 31 del RD 267/42), a tutela dei creditori e in vista del loro soddisfacimento.

L’“inerzia”, secondo i giudici, è riscontrabile soltanto qualora, oltre all’omessa iniziativa giudiziale da parte della curatela, manchi l’evidenza che il curatore si sia posto il problema di decidere quale condotta tenere con riguardo al giudizio in essere, che proprio a tal fine si interrompe automaticamente, ex comma 3 dell’art. 43 del RD 267/42.
Non sussiste un totale disinteresse degli organi fallimentari in presenza di una valutazione anche solo di non convenienza a intraprendere o proseguire la controversia, c.d. inerzia “qualificata” (Cass. n. 16151/2024).

Non induce a mutare tale orientamento il diverso approdo della giurisprudenza in ambito tributario – nel senso della rilevanza della mera inerzia degli organi fallimentari, intesa come comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato (Cass. SS.UU. n. 11287/2023) – poiché espressamente circoscritto all’ipotesi in cui i presupposti di un rapporto tributario si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, finalizzato alla impugnazione dell’atto impositivo notificato al contribuente dichiarato fallito e, quindi, calibrato sulla peculiarità dell’obbligazione tributaria, rispetto alla quale il fallito non perde la qualifica di soggetto passivo d’imposta (così Cass. n. 9510/2023).

Al di fuori dell’ambito strettamente tributario, la legittimazione suppletiva del fallito sussiste solo quando l’inerzia del curatore fallimentare nella tutela giurisdizionale dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento non sia l’espressione di una scelta consapevole nella gestione della procedura.

Non integra inerzia, d’altra parte, la scelta della parte processuale di desistere dal proporre un gravame (Cass. nn. 2626/2018, 24159/2013, 31313/2018). Diversamente, si verrebbe a configurare la legittimazione (o capacità processuale) concorrente del fallito, da escludere ex art. 43 del RD 267/42 (cfr. Cass. n. 9010/2025).
Anche la contumacia deve intendersi come “scelta”, dando vita, così, a una inerzia c.d. “qualificata”, con esclusione della capacità processuale del fallito.

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