Verifica dello stato passivo necessaria per l’accertamento del credito
Improcedibile o inammissibile la domanda proposta nel giudizio ordinario
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30725 del 21 novembre 2025, ha rimarcato che, in forza dell’art. 52 comma 2 del RD 267/42, in caso di fallimento del debitore, il giudizio di verificazione dello stato passivo, salvi i casi di legge, rappresenta l’unico strumento processuale utilizzabile per ottenere l’accertamento, con effetti opponibili alla procedura fallimentare, del diritto di credito maturato nei confronti di quest’ultimo.
Il soggetto, che assume di essere titolare di un credito nei confronti del fallito, se intende partecipare ai riparti fallimentare, ha l’onere di far valere la propria pretesa nelle forme, esclusive, del giudizio di verificazione, ex artt. 93 ss. del RD 267/42, con conseguente esclusione, almeno con effetto nei confronti della procedura, di ogni altra forma di accertamento giudiziale del diritto vantato verso il fallito.
Ciò significa che, se la pretesa creditoria è azionata in sede ordinaria (perché, come nel caso in esame, pende un giudizio ordinario contro il fallito, il quale, dopo la sua interruzione ex art. 43 del RD 267/42, è proseguito nei confronti del curatore, o perché la domanda di accertamento di tale credito è proposta direttamente contro il curatore in sede ordinaria per la condanna al pagamento), la domanda proposta, in difetto di una corretta identificazione del procedimento con il quale far valere la pretesa nei confronti della procedura, è rispettivamente improcedibile ovvero inammissibile, pertanto, dev’essere dichiarata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (cfr. Cass. nn. 10421/2024 e 31024/2024).
Nel caso di specie, la domanda di condanna al risarcimento dei danni che il Comune aveva proposto nei confronti della società poi fallita in ragione dell’inadempimento contrattuale di quest’ultima, in quanto assoggettata, ai sensi dell’art. 52 comma 2 del RD 267/42, al giudizio di verificazione di cui agli artt. 93 e ss. del RD 267/42 e alle sue forme esclusive, era diventata, in conseguenza del sopravvenuto fallimento della convenuta, improcedibile.
Non trova applicazione l’art. 96 comma 2 n. 3 del RD 267/42: in forza di tale norma, ove il credito azionato con la domanda d’ammissione al passivo risulti, anche solo in parte, accertato con sentenza pronunciata prima della dichiarazione di fallimento, ma in quel momento non ancora passata in giudicato, il giudice delegato lo ammette al passivo con riserva dell’impugnazione, che viene sciolta alla scadenza del relativo termine, o all’esito del giudizio, proseguito dal curatore o azionato nei suoi confronti.
Si configura, in tal caso, un’eccezione alla regola dell’esclusività del giudizio di verificazione, poiché l’accertamento (dell’an e/o del quantum) del credito è rimesso al giudizio di impugnazione della sentenza pronunciata prima del fallimento e al rito al quale tale giudizio è assoggettato.
La riserva del giudizio di impugnazione comporta, infatti, ex art. 113-bis del RD 267/42, che, qualora si verifichi l’evento dedotto (come il passaggio in giudicato della sentenza extra fallimentare che ha accertato la sussistenza del credito e la relativa misura), il giudice delegato modificherà lo stato passivo, disponendo che il credito dovrà intendersi definitivamente ammesso con attribuzione al titolare, in via definitiva, delle somme accantonate.
Viceversa, ove l’evento dedotto in condizione non si verifichi ed è certo che non potrà verificarsi (ad es., con il passaggio in giudicato della sentenza extra fallimentare che ha escluso in via definitiva il credito), il giudice delegato escluderà in via definitiva il credito dallo stato passivo e svincolerà le somme accantonate per altre ripartizioni.
L’ammissione con riserva, inoltre, presuppone che il curatore contesti l’esistenza del credito e/o la sua quantificazione (ovvero condivida la contestazione già proposta dal debitore poi fallito), proponendo l’impugnazione avverso la sentenza o proseguendo quella già proposta, fermo restando che il (presunto) creditore deve avere proposto la domanda d’ammissione al passivo del credito azionato e accertato in sede ordinaria con la sentenza non definitiva e, per tale via, deve avere ottenuto l’accoglimento della stessa con l’ammissione al passivo, sia pure con riserva del giudizio d’impugnazione, della pretesa azionata.
I giudici, infine, precisano che, se il credito (verso il fallito) è stato accertato con sentenza pronunciata prima del fallimento, ma non ancora passata in giudicato, la pendenza del giudizio d’appello avverso tale sentenza e avente a oggetto il definitivo accertamento, nei confronti del fallimento, di tale credito non esonera il creditore dal richiederne l’insinuazione al passivo del sopravvenuto fallimento del debitore, con riserva dell’esito del giudizio d’impugnazione.
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