Per ridurre il contenzioso necessari anche accertamenti fondati meglio
Spettabile Redazione,
ultimamente sono apparse sulla stampa specializzata due notizie apparentemente senza collegamento tra loro, ma che a mio avviso, invece, un legame ce l’hanno.
Mi riferisco alla notizia circa l’enorme incremento dei ricorsi tributari rispetto al primo semestre dello scorso anno e alla sentenza della Corte di Cassazione circa l’applicazione della cedolare secca anche nel caso in cui il conduttore sia un imprenditore.
L’aumento del contenzioso tributario viene giustificato con la chiusura delle varie definizioni delle liti pendenti e con l’aumento degli accertamenti fiscali che negli anni precedenti erano diminuiti per gli effetti ancora presenti del COVID-19.
La sentenza della Cassazione dà una spallata alla tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate circa l’inapplicabilità della cedolare secca nel caso in cui, presenti tutti gli altri requisiti, il locatore sia un’impresa.
La sentenza si fa apprezzare per l’analisi lucida e approfondita in merito sia al testo della norma, sia alla sua ratio, evidenziando che essa non pone alcun limite alla natura del conduttore, ma solo a quella del locatore e dell’immobile locato e che risponde all’esigenza di rendere meno costosa la tassazione sulla locazione di tali immobili al fine di consentire l’emersione di locazioni non registrate.
Chiude la parte motiva ricordando che le circolari ministeriali non sono fonte del diritto e che esse non vincolano né il contribuente. né il giudice.
Fin qua solo applausi. L’amaro sta però alla fine.
Al momento di disporre delle spese di giudizio, la Cassazione tira il freno e compensa le stesse “per assenza di precedenti giurisprudenziali”.
Sicuramente intendeva riferirsi a precedenti giurisprudenziali di Cassazione, essendo quelli di merito moltissimi, di cui la maggior parte a favore della tesi ora sostenuta anche dalla Cassazione.
Tutti questi contenziosi sono sorti per l’attività di accertamento svolta dall’Agenzia delle Entrate basata sulle indicazioni di una circolare che ha male interpretato la disposizione di legge.
Tralasciando il commento sulla compensazione delle spese (la mancanza di precedenti giurisprudenziali non mi pare una grave ed eccezionale ragione), ritengo che la mancata attribuzione delle spese di giudizio alla parte soccombente, o la sua attribuzione in modo forfetario e modesto, sia una delle cause che alimentano il contenzioso.
Ecco quindi, dal mio punto di vista, il collegamento tra le due notizie: l’aumento del contenzioso tributario è dovuto (anche) ad attività di accertamento non fondate e motivate, magari basate – come nel caso di specie – sul contenuto di circolari ministeriali, e da provvedimenti di compensazione delle spese che, oltre a non risarcire la parte per l’attività difensiva svolta, induce l’altra parte a coltivare contenziosi in quanto sa di poter contare sulla benevolenza dei giudici.
D’altronde, il fatto che gli accertamenti tributari non siano sempre ben fondati e documentati si evince dalle statistiche della soccombenza in giudizio dell’Amministrazione finanziaria, laddove per almeno il 40% gli atti da questa emessi sono in tutto o in parte dichiarati illegittimi.
Pertanto, la riduzione del contenzioso tributario (che si rende necessario per il collo di bottiglia che si forma in Corte di Cassazione) passa anche per una migliore formazione e sostenibilità degli atti di accertamento e per una sistematica condanna alle spese di giudizio per la parte soccombente, con ristori congrui rispetto alle tariffe professionali e non meramente simbolici.
Adriano Pietrobon
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Treviso