Liquidazione controllata su istanza del creditore con debitore sovraindebitato-insolvente
Per impresa minore e stato di insolvenza applicabile il principio di acquisizione processuale
Nel sempre più vasto panorama giurisprudenziale in materia di procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, si distinguono due recenti pronunce, depositate dalla Corte d’Appello di Torino il 27 febbraio 2025 e dal Tribunale di Torino il 27 marzo 2025, le quali, anche se afferenti a due diverse fattispecie fattuali, consentono di estrapolare un minimo comun denominatore generale all’interno della disciplina della liquidazione controllata del sovraindebitato avviata su istanza del creditore ai sensi dell’art. 268 comma 2 del DLgs. 14/2019, recante il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (CCII).
Perché un creditore possa, nei confronti del proprio debitore, suscitare l’apertura della procedura liquidatoria minore di cui agli artt. 268 ss. del CCII, occorre che ricorrano i presupposti di cui all’art. 268 comma 2 del CCII, ovverosia che il debitore sia sovraindebitato-insolvente ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 2 comma 1 lett. b) e c) del CCII, che non sia assoggettabile alla liquidazione giudiziale ex art. 2 comma 1 lett. c) e d) del CCII e che sia soddisfatta la soglia minima di indebitamento scaduto – pari o superiore a 50.000 euro – prevista dall’art. 268 comma 2 del CCII.
Le summenzionate sentenze hanno affrontato due tematiche di non poco conto: l’una relativa all’individuazione degli elementi e degli indici da cui possa desumersi la qualificazione del debitore convenuto, ove questi eserciti individualmente o collegialmente una attività di impresa, alla stregua di una impresa minore ex art. 2 comma 1 lett. d) del CCII; l’altra relativa all’identificazione dei presupposti per la declaratoria dello stato di sovraindebitamento-insolvenza del debitore stesso.
Con riferimento alla prima questione, la Corte d’Appello di Torino ha preliminarmente precisato come, sebbene l’onere della prova circa il possesso dei requisiti di non assoggettabilità alla liquidazione giudiziale spetti al debitore, tale principio non possa essere, comunque, interpretato in modo assoluto e formalistico, dovendo, invece, coordinarsi con gli obblighi istruttori officiosi del tribunale adito e con il principio di acquisizione processuale, sicché non parrebbe corretto affermarsi come alla mancata costituzione del debitore debba in automatico conseguire l’apertura, nei suoi riguardi, della liquidazione giudiziale, soprattutto nel caso in cui si sia in presenza di elementi che depongano per la natura di impresa minore e, al contempo, in assenza di alcun tema di indagine conducente alla prospettazione di una diversa e maggiore complessione economica dell’impresa.
Tanto premesso, il giudice d’appello ha poi nel merito osservato che possono rappresentare validi indici per qualificare il debitore alla stregua di una impresa minore i seguenti elementi (peraltro, acquisiti, nel caso di specie, in via officiosa dal tribunale): l’oggetto sociale, estratto dalla visura camerale, laddove lo stesso non presupponga una significativa patrimonializzazione o l’impiego di dipendenti; l’inattività dell’impresa da diversi anni, documentata dall’assenza di protocolli al Registro delle imprese, al fine di poter in ipotesi dimostrare l’assenza di ricavi al di sopra della soglia di cui all’art. 2 comma 1 lett. d) del CCII; l’indebitamento complessivo utilmente desumibile anche dalle risultanze istruttorie compiute dal tribunale in via officiosa.
Con riferimento alla seconda questione, il combinato disposto dei principi contenuti in entrambe le pronunce in commento consente di delineare i contorni dello stato di sovraindebitamento-insolvenza di cui al combinato disposto dell’art. 2 comma 1 lett. b) e c) del CCII, presupposto che è richiesto, tra gli altri, ai fini dell’apertura della liquidazione controllata su istanza del creditore. Nello specifico, la situazione di insolvenza può essere comprovata, a titolo esemplificativo, da: infruttuosità delle procedure esecutive promosse nei confronti del debitore; prolungata inattività dell’impresa convenuta e dalla prosecuzione dell’attività attraverso una diversa struttura societaria; incapacità di far fronte al debito del creditore istante, soprattutto ove lo stesso non risulti di elevato ammontare; accumulo di debiti, già da diversi anni, nei confronti degli enti fiscali e territoriali; assenza di PEC associata all’impresa iscritta nel Registro delle imprese; assenza totale di dichiarazioni fiscali nell’ultimo triennio.
Peraltro, appare interessante osservare come la presenza, nella composizione patrimoniale, di un bene immobile, come tale non prontamente liquidabile, non inciderebbe, ad avviso del Tribunale di Torino nella sentenza citata, “sulla valutazione relativa all’incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
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