Interessi capitalizzati solo con indicazione in Nota integrativa
La Suprema Corte non riconosce la deduzione integrale se non sono stati rispettati i principi contabili
Nell’ordinanza n. 21388/2025, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito a un caso di presunta mancata capitalizzazione di interessi passivi da parte di una srl avente a oggetto l’attività di costruzione e vendita di immobili.
In relazione al periodo d’imposta 2010 o 2011 (così pare di capire dalla lettura dell’ordinanza) la società aveva sostenuto oneri finanziari per la costruzione di uno o più immobili e li aveva, stando a quanto sostenuto nei tre gradi di giudizio, capitalizzati a incremento del valore delle rimanenze.
Una tale capitalizzazione è ammessa dai principi contabili, perché l’OIC 13 la consente quando gli oneri si riferiscono a beni che richiedono un periodo di produzione significativo, nei limiti del valore realizzabile del bene desumibile dall’andamento del mercato.
In realtà il principio contabile vigente ratione temporis richiedeva anche che “il fatto della capitalizzazione venga chiaramente esposto nella nota integrativa”. Si trattava di una vera e propria condizione per la capitalizzazione, o almeno così era presentata nel principio contabile, non presente nell’attuale versione, entrata in vigore nel dicembre 2016 (resta, però, l’obbligo di indicazione degli oneri finanziari capitalizzati prescritto dall’art. 2427 comma 1 n. 8 c.c.).
La deduzione degli interessi passivi e degli oneri finanziari assimilati segue la regola generale dell’art. 96 del TUIR, secondo cui essi sono deducibili fino a concorrenza degli interessi attivi e dei proventi assimilati, e per l’eccedenza nei limiti del 30% del ROL (differenza tra il valore e i costi della produzione di cui all’art. 2425 del codice civile, lettere A) e B), con esclusione delle voci di cui al numero 10), lettere a) e b), e dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali). Questa regola non era applicabile, all’epoca dei fatti, agli interessi capitalizzati ai sensi dell’art. 110 comma 1 lett. b) del TUIR (tra cui quelli derivanti da prestiti contratti per la costruzione o la ristrutturazione di immobili alla cui prodizione è diretta l’attività d’impresa), che quindi potevano essere dedotti per intero senza alcuna limitazione.
Con queste premesse, il contenuto della Nota integrativa ha dunque acquisito, nel contenzioso oggetto dell’ordinanza in commento, un ruolo fondamentale.
Si dovrebbe piuttosto parlare di carenze della Nota integrativa, poiché la capitalizzazione non era stata correttamente evidenziata, nonostante la società intendesse sottrarre gli interessi alla regola generale e dedurli per intero come componenti del costo dei beni costruiti.
Dopo aver perso il secondo grado di giudizio, la società ricorrente aveva tentato di superare le carenze della Nota integrativa dimostrando nel corso del procedimento che gli interessi erano stati di fatto capitalizzati, esibendo a tal fine fotocopie del bilancio analitico e conteggi dai quali si sarebbe dovuta rilevare la maggiorazione del valore delle rimanenze.
Dalla lettura dell’art. 110 comma 1 lett. b) del TUIR si potrebbe anche sostenere che la dimostrazione della capitalizzazione fosse superflua, poiché la norma stabilisce che “per gli immobili alla cui produzione è diretta l’attività dell’impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro costruzione o ristrutturazione”, e nella sua formulazione sembra accordare un automatismo del concorso degli interessi alla formazione del valore fiscale dei beni in costruzione.
In realtà, invece, sembra di capire che la capitalizzazione non sia stata riconosciuta proprio per la mancata indicazione in Nota integrativa, che ha finito con il comportare il mancato rispetto delle indicazioni del principio contabile (si veda al riguardo, nonostante non sia stata citata, Cass. n. 16115/2007).
Il compito della società ricorrente di dimostrare con altri mezzi la capitalizzazione degli interessi è stato reso complicato anche dalla circostanza, come si evince dalla lettura dell’ordinanza, che la commissione di secondo grado aveva sottolineato che in Nota integrativa era stato affermato che “nel costo dei beni non era stata imputata la quota di interessi passivi e, in altra parte, che l’iscrizione vi era, ma senza menzione tra i costi degli interessi e del loro ammontare”.
Perciò la Suprema Corte aveva concluso che la mancata capitalizzazione era stata già accertata e non poteva essere sindacata in sede di legittimità.
Di qui l’esito del giudizio, indirizzato dall’infelice formulazione della Nota integrativa, oltreché, presumibilmente, dal ruolo che alla stessa conferivano i principi contabili.
Si tratta di un precedente da non sottovalutare per il suo sviluppo e il suo esito, nonostante non dovrebbe essere più rilevante in caso di capitalizzazione degli interessi ex art. 110 comma 1 lett. b): l’attuale testo dell’art. 96 del TUIR, in vigore dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, prevede infatti che le limitazioni alla deducibilità degli interessi si applichino anche a quelli capitalizzati.
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