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Venerdì, 8 agosto 2025 - Aggiornato alle 6.00

IMPRESA

Revoca del finanziamento pubblico se l’impresa fallisce

Le finalità della procedura liquidatoria sono incompatibili con il progetto di sostegno pubblico

/ Antonio NICOTRA

Venerdì, 8 agosto 2025

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La Cassazione, con l’ordinanza 6 agosto 2025 n. 22770, ha confermato come il fallimento dell’impresa rappresenti una causa di revoca di un finanziamento pubblico.

Il DLgs. 123/98 (recante le disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese a norma dell’art. 4 comma 4 lettera c) della L. 59/97), non contempla espressamente il fallimento del beneficiario tra le ipotesi di revoca dei benefici di cui al comma 3 dell’art. 9 del DLgs. 123/98.
Tale norma stabilisce che, qualora i beni acquistati con gli interventi di sostegno pubblico siano alienati, ceduti o distratti nei 5 anni successivi alla concessione, ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso al predetto intervento pubblico, è disposta la revoca dello stesso e l’importo deve essere restituito con le modalità di cui al comma 4 dell’art. 9 del DLgs. 123/98.

Secondo i giudici, l’evento “fallimento” rientra nel perimetro applicativo della disposizione – da non considerarsi tassativo – in quanto comporta, sia pure in senso lato, una forma di alienazione o distrazione dei beni acquistati con il contributo pubblico.
Tale evento, in verità, rende in concreto non più perseguibili le finalità dell’intervento di sostegno.

Relativamente al caso de quo – evidenzia la Cassazione – l’acquisto di un ramo d’azienda, nell’ambito del progetto di sostegno pubblico funzionale a processi di integrazione tra imprese, in vista del loro permanere sul mercato, non è compatibile con le finalità del fallimento.
La procedura fallimentare, infatti, è volta al soddisfacimento dei creditori attraverso la liquidazione dell’attivo, anche laddove venga in ipotesi autorizzato un esercizio provvisorio.

Sul tema, la giurisprudenza amministrativa ha ribadito che la dichiarazione di fallimento di una società finanziata, comportando la cessazione dell’attività imprenditoriale in vista della liquidazione dell’attivo, determina l’impossibilità di conseguire le finalità per le quali il finanziamento è stato erogato, col conseguente venir meno dei requisiti (soggettivi, oggettivi od occupazionali) che hanno determinato la concessione delle agevolazioni, per i quali l’amministrazione dispone la immediata revoca del finanziamento dei progetti (cfr. Cons. Stato nn. 541/2006 e 4298/2008; Cass. n. 21841/2017).

In tal senso si pone la prevalente giurisprudenza di legittimità e, da ultimo, anche la Cassazione del 12 marzo 2025 n. 6576.
Secondo tale interpretazione, l’art. 9 comma 5 del DLgs 123/98, nel prevedere la revoca del beneficio e il privilegio in favore del credito alle restituzioni, si riferisce non solo a patologie attinenti alla fase genetica dell’erogazione pubblica, ma anche alla successiva gestione del rapporto di credito sorto per effetto della concessione, inclusa la risoluzione negoziale del rapporto (Cass. n. 27303/2022).

In secondo luogo, è stato chiarito che la revoca del beneficio è meramente ricognitiva del venir meno di un presupposto di fruizione dello stesso previsto dalla legge e non ha, quindi, valenza costitutiva del credito recuperatorio della somma finanziata.
Tale credito nasce privilegiato in capo all’amministrazione, ex lege e fin dal momento dell’erogazione, pertanto è irrilevante che l’insorgenza dei presupposti per la revoca del finanziamento sia accertata anteriormente o posteriormente rispetto al fallimento che la determina (Cass. n. 13152/2023).

La revoca del sostegno pubblico, accordato anche sotto forma di “concessione di garanzia” per lo sviluppo delle attività produttive, deliberata ex art. 9 del DLgs. 123/98, è opponibile alla massa dei creditori, anche se intervenuta dopo che il beneficiario abbia proposto domanda di concordato preventivo con successiva omologazione della procedura (ovvero, come nel caso in esame, sia stato assoggettato a fallimento), in quanto il provvedimento di revoca si limita ad accertare il venire meno di un presupposto già previsto dalla legge, senza valenza costitutiva.
Il credito sorge come privilegiato ex lege dal momento in cui viene concesso ed erogato il beneficio e, pertanto, la revoca del contributo deve intendersi solo come condizione affinché si possa agire per il recupero del credito (Cass. n. 8882/2020).
Le conclusioni alle quali giunge la Cassazione, in linea con l’indirizzo interpretativo prevalente, sembrerebbero, peraltro, applicabili anche alla nuova disciplina della liquidazione giudiziale di cui al DLgs. 14/2019.

Relativamente al caso de quo, infine, la Suprema Corte ha rimarcato come l’opposizione allo stato passivo del fallimento, pur avendo natura impugnatoria, non costituisca un giudizio di appello, ma introduca un giudizio di primo grado avente a oggetto il riesame della decisione adottata in sede di verifica (Cass. nn. 35254/2023, 24489/2016, 1342/2016 e 24972/2013), con conseguente non applicabilità per esso del criterio della c.d. doppia conforme.

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