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FISCO

La comproprietà col coniuge nello stesso Comune preclude la prima casa

Niente beneficio sul nuovo acquisto in caso di titolarità in comunione ordinaria di un’altra abitazione

/ Anita MAURO

Venerdì, 5 settembre 2025

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La titolarità, in comunione ordinaria con il coniuge, di un’altra casa di abitazione nel medesimo Comune in cui si procede a un nuovo acquisto, preclude l’applicazione del beneficio prima casa su quest’ultimo.
Questo è il principio desumibile dalla lettura della sentenza della Cassazione 3 settembre 2025 n. 24477.

Va premesso che, tra le condizioni agevolative di prima casa, due concernono la titolarità di altri immobili da parte dell’acquirente. Si tratta delle condizioni individuate dalle lettere b) e c) della Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86, le quali impongono all’acquirente che voglia applicare l’imposta di registro al 2% (o l’IVA al 4%) sull’acquisto dell’abitazione, di dichiarare (tra il resto) di non essere titolare:
- “esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare” (lett. b);
- “neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni” medesime (lett. c).

In pratica, la lett. b) riguarda la titolarità di immobili nel medesimo Comune in cui si procede al nuovo acquisto, mentre la lett. c) riguarda la titolarità di altri immobili già acquistati col beneficio (e, peraltro, quest’ultima è “superabile” impegnandosi alla rivendita dell’ex prima casa entro 2 anni dal nuovo acquisto).

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva disconosciuto l’agevolazione prima casa a un contribuente, lamentando l’assenza della condizione di cui alla lett. b), in quanto l’acquirente era titolare, nel medesimo Comune, di un altro immobile in comunione ordinaria col coniuge. Il contribuente aveva impugnato l’avviso di liquidazione, rilevando che i coniugi erano in comunione ordinaria – non legale – mentre solo quest’ultima precluderebbe il nuovo acquisto col beneficio.

La questione giunge in Cassazione che, confermando le motivazioni dei giudici di merito, respinge il ricorso del contribuente affermando in sostanza che:
- mentre la titolarità di un’altra casa di abitazione in comunione ordinaria col coniuge preclude l’accesso al beneficio per un acquisto nel medesimo Comune;
- la titolarità di un immobile già acquistato con beneficio, in comunione ordinaria col coniuge, non preclude un nuovo acquisto agevolato.

Il motivo del diverso impatto che la comunione ordinaria tra coniugi ha sul futuro acquisto con l’agevolazione, secondo la Suprema Corte, deriva dall’interpretazione letterale della norma agevolativa: la lett. c) fa espresso riferimento alla titolarità in “comunione legale” come preclusiva del nuovo acquisto, mentre la lett. b) fa riferimento alla semplice “comunione con il coniuge”. Ne deriva che la lett. c) deve interpretarsi a contrario: solo la titolarità in comunione legale (di un’altra abitazione acquistata col beneficio) preclude il beneficio; il riferimento, nella lett. b), alla generica “comunione col coniuge” deve invece interpretarsi (anche in forza del raffronto con la lett. c) come riferita a qualsiasi comproprietà con il coniuge (sia legale che ordinaria).
Pertanto, nel caso di specie, l’agevolazione non poteva spettare, in quanto il contribuente era titolare, nello stesso Comune in cui intendeva acquistare la prima casa, di un’altra abitazione in comunione ordinaria col coniuge.

Peraltro, la Corte spiega che è irrilevante il fatto che l’immobile sito nello stesso Comune fosse stato acquistato col beneficio prima casa. Infatti, ciò comportava, sì, il soddisfacimento della condizione di cui alla lett. c), ma non aveva effetti su quella di cui alla lett. b), che restava insoddisfatta.

Inoltre, la Cassazione non accoglie neanche l’ulteriore prospettazione del ricorrente, ancorata alla questione dell’idoneità dell’immobile preposseduto (nel Comune). Si ricorda, infatti, che per la giurisprudenza di legittimità non preclude l’agevolazione la titolarità di un immobile nel medesimo Comune “non idoneo” all’uso abitativo (tra le tante, Cass. nn. 24478/2025, 20981/2021 e 100/2010). Il ricorrente rilevava, allora, come solo nella titolarità in comunione legale sia insita l’idoneità al soddisfacimento del bisogno abitativo, garantendo essa un “godimento pieno, esclusivo e indiviso paritetico a quello del titolare esclusivo”, mentre la titolarità in comunione ordinaria sarebbe ex se “inidonea” a utilizzare il bene per soddisfare le esigenze abitative e, pertanto, non potrebbe precludere il beneficio.
Secondo la Corte, ciò non rileva, in quanto la preclusione dell’agevolazione opera ove il contribuente possa godere di un immobile da abitare; circostanza che appare soddisfatta comunque in costanza di matrimonio tra i comproprietari, posto che il vincolo presuppone la coabitazione e la disponibilità della casa coniugale.

Questo pare coerente con il fatto che la titolarità in comunione ordinaria con soggetti diversi dal coniuge, invece, non rientri tra le situazioni che precludono il beneficio per un acquisto nel medesimo Comune (in quanto la lett. b) parla solo di “comunione col coniuge”, mentre la lett. c) cita anche la titolarità “per quote”).

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