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FISCO

Competenza dei risarcimenti esclusa se la sentenza è impugnata

Secondo la Suprema Corte, mancherebbero i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità

/ Silvia LATORRACA

Venerdì, 5 settembre 2025

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Con la sentenza n. 24485 depositata ieri, 4 settembre 2025, la Cassazione si è pronunciata in merito all’imputazione temporale, nell’ambito del reddito d’impresa, dei componenti di reddito relativi a controversie, formulando un principio di diritto che sembra porsi in contrasto non solo con l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria e della dottrina, ma anche con le precedenti pronunce della stessa Suprema Corte.

La questione atteneva a un complesso contenzioso, riguardante un’azienda speciale che, con una sentenza di primo grado pronunciata nel 2009, era stata condannata al risarcimento del danno subito da un terzo a causa della rottura di una conduttura idrica e, con una sentenza di secondo grado pronunciata nel 2014, era risultata soccombente.
Tale ultima sentenza aveva, peraltro, condannato la compagnia assicurativa a risarcire la contribuente per i danni indiretti, con la conseguente apertura di un contenzioso per le somme corrispondenti.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, il risarcimento dovuto in base alla sentenza di primo grado era di competenza dell’anno 2009 e non avrebbe potuto (come, invece, fatto dalla contribuente) essere dedotto nel 2014 (oggetto di accertamento). Peraltro, la contribuente avrebbe dovuto contabilizzare (e tassare, ndr) nel 2014 l’importo dovuto dalla compagnia assicurativa a titolo di danni indiretti, nonostante la non definitività della sentenza di secondo grado e la presenza di dubbi non manifestamente infondati circa la spettanza dei danni indiretti in capo alla contribuente.

La sentenza della C.T. Reg. (impugnata dalla contribuente) ha stabilito che, “essendo la sentenza di primo grado esecutiva”, il risarcimento avrebbe dovuto essere dedotto inderogabilmente nel 2009 e, pur senza esprimersi, ha avallato di fatto il comportamento dell’ufficio in merito al risarcimento per danni indiretti dovuto dalla compagnia assicurativa.

La Cassazione, dopo aver richiamato l’art. 109 comma 1 del TUIR (che – si ricorda – si applica, nel regime attualmente vigente, soltanto ai soggetti che non adottano il principio di derivazione rafforzata) e riportato l’orientamento in base al quale, nell’ipotesi di debito litigioso, che rientra tra le c.d. “passività potenziali”, il costo non può essere dedotto dal reddito dell’anno in cui la lite ha avuto inizio ma da quello dell’anno in cui essa si è conclusa (Cass. 19166/2021), ha ritenuto errata la decisione del giudice di merito.

Secondo la Suprema Corte, occorre, in primo luogo, considerare che la provvisoria esecutività della sentenza del 2009 era stata sospesa nel 2010 con ordinanza della Corte d’Appello, che successivamente riformò la sentenza di primo grado.
In secondo luogo, occorre rilevare che l’esecutività è un’attribuzione processuale della pronuncia di condanna, anche non definitiva, ed essa non deve essere confusa con il requisito della “certezza” del costo, che invece si ha nel momento in cui quell’elemento passivo acquisisce una fisionomia definitiva, sia con riferimento ai suoi elementi costitutivi, sia con riferimento alla sua dimensione quantitativa.

Dunque, ad avviso dei giudici di legittimità, nell’ambito del contenzioso in esame, i costi posti a carico della contribuente nella sentenza del 2009 non possedevano un grado di certezza tale da far ritenere che essi dovessero essere necessariamente imputati all’esercizio 2009, ma, al contrario, erano diventati ragionevolmente certi solo in seguito alla sentenza di secondo grado, pronunciata nel 2014.

Analogamente, secondo la Cassazione, posto che la spettanza in capo alla contribuente dell’indennità assicurativa relativa ai danni indiretti, stabilita dalla sentenza di appello, era contestata, in maniera non manifestamente infondata, dalla società debitrice, che riteneva che tale tipologia di danni non rientrasse nella copertura della polizza, correttamente le somme non erano state contabilizzate dalla contribuente nel 2014.

A conclusione, la Suprema Corte ha enunciato il principio di diritto in base al quale, “quando gli elementi attivi e passivi che concorrono a formare il reddito sono portati da un provvedimento emesso in seguito ad un giudizio di cui sia parte il contribuente, quest’ultimo non è tenuto a contabilizzarli se essi sono messi in discussione mediante la proposizione di mezzi di impugnazione ammissibili e non manifestamente infondati, dovendo la contabilizzazione essere effettuata solo quando quegli elementi siano divenuti ragionevolmente certi sia nell’an che nel quantum”.

Come anticipato, tale principio di diritto sembra porsi in contrasto con i precedenti orientamenti sia della giurisprudenza di legittimità (su tutte, si vedano due pronunce della Cassazione, la n. 26748/2014 e la n. 11917/2025, più recente, relativa al caso della sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza), che della prassi (si veda, da ultimo, la consulenza giuridica dell’Agenzia delle Entrate n. 9/2020) e della dottrina, sulla base dei quali i componenti reddituali relativi a controversie dovrebbero assumere rilevanza fiscale nell’esercizio in cui viene depositata la sentenza, indipendentemente dal grado di giudizio e dal passaggio in giudicato della sentenza.

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