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Sabato, 6 settembre 2025 - Aggiornato alle 6.00

LAVORO & PREVIDENZA

Controlli difensivi in senso stretto con agenzie investigative solo per fondato sospetto

Spetta al giudice valutare se il controllo sia svolto in presenza di concreti indizi e non mere convinzioni soggettive

/ Federico ANDREOZZI

Sabato, 6 settembre 2025

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Con l’ordinanza n. 24564 depositata il 4 settembre 2025, la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in materia di controlli difensivi da parte del datore di lavoro espletati attraverso il ricorso ad agenzie investigative.

In particolare, la Suprema Corte veniva chiamata a decidere su un ricorso presentato da un lavoratore, con le mansioni di “letturista”, licenziato in seguito ad accertamenti eseguiti mediante agenzia di investigazione privata: era emerso che il dipendente, con il device in sua dotazione, avesse falsamente dichiarato l’inizio e la cessazione dell’attività lavorativa, che in realtà avveniva in un orario di molto antecedente all’effettiva uscita dall’abitazione o al successivo rientro, nonché come lo stesso si fosse recato in luoghi estranei alle attività che avrebbe dovuto svolgere, restando a più riprese inattivo all’interno della vettura aziendale concessa in uso. Dai controlli si evinceva, inoltre, come lo stesso non indossasse i dispositivi di protezione individuale né gli abiti forniti dall’azienda.

Poiché i giudici di prime e di seconde cure avevano dichiarato l’infondatezza del ricorso presentato dal lavoratore, quest’ultimo si rivolgeva alla Suprema Corte, lamentando, tra le altre cose, come la datrice avesse fatto ricorso ad un’agenzia investigativa per controllare la sua prestazione lavorativa e le relative modalità di esecuzione.
Investiti della vicenda, i giudici di legittimità respingono le doglianze del lavoratore, riepilogando, con l’occasione, i più recenti approdi giurisprudenziali in materia.

In prima battuta i giudici di legittimità evidenziano la fondamentale distinzione tra controlli a difesa del patrimonio aziendale e controlli difensivi in senso stretto: i primi riguardano tutti i dipendenti nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a contatto con detto patrimonio; tali controlli devono essere necessariamente realizzati nel rispetto delle previsioni contenute nell’art. 4 della L. 300/70. I secondi, invece, essendo diretti ad accertare specifiche condotte illecite – realizzate anche durante la prestazione lavorativa –, riconducibili a concreti indizi in capo a singoli dipendenti, sono situati all’esterno del perimetro di applicazione del menzionato art. 4.

Inoltre, il controllo difensivo in senso stretto deve essere “mirato” e attuato “ex post”, cioè, dopo aver preso atto dei comportamenti illeciti di uno o più lavoratori dei quali il datore abbia avuto fondato sospetto, poiché solo da tale momento quest’ultimo può provvedere alla raccolta di informazioni. Tuttavia, anche nel caso in cui il datore nutra un effettivo sospetto circa lo svolgimento, da parte del dipendente, di attività illecite, occorre comunque assicurare un bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, connesse alla fondamentale libertà di iniziativa economica, e le tutele, altrettanto imprescindibili, della dignità e della riservatezza del lavoratore, bilanciamento che non può astrarsi da una valutazione circa le circostanze del caso concreto e che deve avvenire nell’osservanza della disciplina a tutela della riservatezza del lavoratore e, in particolare, dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Edu (cfr. Cass. n. 34092/2021).

Ciò detto, la Cassazione ricorda altresì come, sebbene incomba sul datore l’onere di provare le circostanze che lo hanno portato ad effettuare il controllo tecnologico, resta comunque in capo al giudice il dovere di valutare, considerando le circostanze del caso concreto, se vi fossero indizi idonei a generare un fondato sospetto di commissione di comportamenti illeciti (cfr. Cass. n. 18168/2023).

Ebbene, richiamati detti principi, con riferimento al caso di specie, la Suprema Corte evidenzia come, da quanto accertato nel giudizio di merito, fosse emerso che la datrice di lavoro, ancor prima dei fatti puntualmente contestati al lavoratore e accertati tramite agenzia investigativa, disponesse di elementi (come, ad esempio, il minor rendimento del dipendente) tali da giustificare un controllo specifico, anche mediante attività investigativa, in relazione a successive condotte, poi risultate essere illecite e fraudolente. Ritenuti legittimi i controlli e dimostrati così in giudizio i comportamenti del lavoratore, la Corte ha, quindi, respinto l’impugnativa di licenziamento.

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