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Venerdì, 3 ottobre 2025 - Aggiornato alle 6.00

IL CASO DEL GIORNO

Lo schema di atto può bloccare gli effetti della certificazione

/ Alfio CISSELLO e Pietro SEMERARO

Venerdì, 3 ottobre 2025

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Ai sensi dell’art. 23 commi 2-5 del DL 73/2022 le imprese che hanno effettuato attività di ricerca e sviluppo possono ottenere una certificazione che attesti la qualificazione delle attività come agevolabili in base all’art. 1 commi 200-202 della L. 160/2019 (credito d’imposta ricerca, sviluppo e innovazione) o all’art. 3 del DL 145/2013 (“vecchio” credito ricerca e sviluppo).
Tali certificazioni possono essere richieste anche ex post, con riguardo a progetti realizzati e in caso di crediti già oggetto di verifica.

L’art. 23 del DL 73/2022, tuttavia, prevede: “Le certificazioni di cui al primo, al secondo e al terzo periodo possono essere richieste a condizione che le violazioni relative all’utilizzo dei crediti d’imposta previsti dalle norme citate nei medesimi periodi non siano state già constatate con processo verbale di constatazione”.
Pertanto, la certificazione non produce effetto se è stato notificato/consegnato il processo verbale di constatazione o, naturalmente, l’atto impositivo vero e proprio (tipicamente l’avviso di recupero del credito di imposta disciplinato dall’art. 38-bis del DPR 600/73).
Non hanno di contro effetto gli atti istruttori, come ad esempio le richieste di documenti e i questionari nonché gli accessi presso le sedi dove si svolge l’attività del contribuente, né le c.d. lettere di compliance.

In assenza di indicazioni legislative o di prassi non è facile stabilire se lo schema di atto emesso ai sensi dell’art. 6-bis della L. 212/2000, attuativo del contraddittorio preventivo tra le parti, possa o meno inibire, anch’esso, gli effetti della certificazione del credito.
Formalmente, l’art. 23 comma 3 del DL 73/2022 fa unicamente riferimento al processo verbale di constatazione, atto che viene formato al termine della verifica fiscale caratterizzata da accessi, geneticamente diverso dallo schema di atto, quindi a prima vista si potrebbe sostenere che la certificazione osti al recupero altresì se è stato notificato lo schema di atto.

Sotto una diversa ottica, non si può fare a meno di evidenziare che, come peraltro già sostenuto in dottrina, il legislatore del 2022 non poteva porsi il problema dello schema di atto, posto che l’art. 6-bis della L. 212/2000 è stato introdotto solo in un momento successivo a opera del DLgs. 30 dicembre 2023 n. 219.
Senza contare che il processo verbale di constatazione (formato a seguito di accesso sostanziale) e lo schema di atto (formato a seguito di indagine a tavolino) sono ai fini che ci occupano atti equiparabili.

In entrambi i casi, le violazioni ipotizzate dai verificatori sono portate a conoscenza dei contribuenti e, per di più, per sua natura lo schema di atto viene emesso dall’organo accertatore (l’Agenzia delle Entrate, unico ente legittimato a formalizzare l’atto di recupero del credito), mentre il processo verbale di constatazione può essere anche emesso dalla Guardia di Finanza. Fermo restando che deve essere altresì considerato che, con riferimento alle contestazioni in materia di compensazioni di crediti inesistenti, lo schema d’atto non è obbligatorio, sebbene spesso parimenti notificato dall’Agenzia delle Entrate, onde consentire il contraddittorio (e l’adesione).

Sia le Entrate, sia la Corte tributaria potrebbero allora ritenere equipollenti il PVC e lo schema di atto, con la conseguenza che un’eventuale certificazione ottenuta dopo la notifica non solo di un PVC, ma anche di uno schema d’atto, potrebbe non intendersi idonea a “bloccare” ex lege la pretesa impositiva.

Sul tema è intervenuto l’atto di indirizzo del Ministero dell’Economia 1° luglio 2025, il quale, nel soffermarsi sugli effetti della certificazione, richiama il solo verbale di constatazione e non lo schema di atto. In particolare, il MEF ricorda, parafrasando il disposto dell’art. 23 comma 2 del DL 73/2022, che la certificazione può essere richiesta “sempre che eventuali violazioni relative all’utilizzo dei crediti di imposta non siano state già constatate con processo verbale di constatazione”.

Tuttavia, nel prosieguo del § 3, l’atto di indirizzo specifica che, ai sensi del successivo comma 4 dell’art. 23, in presenza della certificazione che attesti la natura tecnica dell’investimento effettuato, un eventuale recupero basato esclusivamente sulla qualificazione dell’investimento, ovvero basato esclusivamente sulla “corretta” nozione di novità, secondo il Manuale di Frascati, ma senza alcuna contestazione sull’effettiva realizzazione e/o corretta quantificazione delle attività, potrà condurre alla annullabilità dell’atto. Per tale ragione, lo stesso MEF conclude che sarebbe auspicabile comunque che il contribuente che si munisce di certificazione ne dia comunicazione all’Agenzia delle Entrate, anche per evitare eventuali contestazioni basate unicamente sul profilo della qualificazione tecnica dell’investimento.

Ciò potrebbe significare, sebbene non detto espressamente, che indipendentemente dalla “vincolatività” della certificazione, se questa viene richiesta nelle more della verifica fiscale ma ottenuta dopo la consegna del PVC (o dell’eventuale schema d’atto), resta un elemento valutabile dalle Entrate, anche nell’ottica di evitare contestazioni che, davanti al giudice, potrebbero essere oggetto di annullamento, con eventuale condanna alle spese per l’Agenzia.

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