Agevolati i proventi da carried interest se i manager usano solo risorse proprie
L’investimento deve garantire l’allineamento degli interessi e dei rischi dei manager e degli altri soci
Con le risposte a interpello nn. 254, 255, 256 e 257, pubblicate ieri, l’Agenzia delle Entrate ha fornito ulteriori indicazioni utili per qualificare come redditi di natura finanziaria dei carried interest percepiti dai manager nonostante non vengano rispettati i parametri previsti dall’art. 60 del DL 50/2017.
I c.d. “carried interest” (detti anche proventi da diritti patrimoniali rafforzati) sono una forma di remunerazione, generalmente erogata da fondi di investimento, spettante ai membri del personale a titolo di compenso per la gestione del fondo stesso, che si sostanzia in una quota degli utili del fondo eccedente l’utile derivante dall’investimento.
Nel settore del private equity, il carried interest è solitamente attribuito ai manager amministratori e/o dipendenti della SGR (e, talvolta, della società veicolo che effettua l’investimento), allo scopo di accomunare nella condivisione del rischio la loro posizione a quella degli altri soci.
Dal punto di vista fiscale, l’art. 60 del DL 50/2017 convertito stabilisce che, al verificarsi di determinate condizioni, i proventi derivanti dagli strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati percepiti da manager e dipendenti sono in ogni caso qualificati come redditi di capitale o diversi, configurandosi come una forma di remunerazione della partecipazione al capitale di rischio.
Questa previsione costituisce un’agevolazione fiscale significativa se si considera che, mentre i proventi finanziari godono di una tassazione sostitutiva del 26%, i redditi da lavoro dipendente o assimilati sono soggetti a tassazione ordinaria progressiva IRPEF (quindi, con aliquote progressive per scaglioni dal 23% al 43%, oltre alle eventuali addizionali).
La norma in commento consiste in una presunzione legale che stabilisce la natura finanziaria dei carried interest nel caso in cui:
- l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e amministratori comporti un esborso effettivo pari ad almeno l’1% dell’investimento complessivo effettuato dall’OICR;
- il diritto ai proventi sia postergato rispetto a tutti gli altri soci o partecipanti che devono percepire un ammontare pari al capitale investito e un rendimento minimo (hurdle rate);
- le azioni, le quote o gli strumenti finanziari siano mantenuti dai dipendenti e amministratori o, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo minimo di 5 anni o fino al cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione.
Secondo quanto chiarito dalla circ. Agenzia delle Entrate 16 ottobre 2017 n. 25 (la circolare “quadro” della disciplina), la carenza di uno o più presupposti stabiliti dalla norma in esame non determina l’automatica qualificazione dei proventi come redditi collegati alla prestazione lavorativa; in questo caso, la qualificazione “finanziaria” del carried interest richiede la valutazione del caso specifico per stabilire la natura delle remunerazioni erogate ai manager.
In merito a tale valutazione, la risposta n. 254/2025 ha chiarito che rileva il fatto che i manager utilizzano esclusivamente risorse proprie per la sottoscrizione del piano senza beneficiare di alcun finanziamento da parte dell’emittente e da soggetti a esso collegato. Inoltre, è stata valorizzata la circostanza che il piano di incentivazione preveda che, in caso di interruzione del rapporto lavorativo, il manager possa essere soggetto all’opzione di acquisto delle azioni detenute da parte della società, ma solo per gravi motivazioni. Diversamente, egli mantiene il diritto a detenere le azioni (in questo senso, si veda anche la precedente risposta n. 295/2022).
La medesima impostazione si riviene nella risposta n. 255/2025, la quale conferma il principio per cui occorre che vi sia un allineamento degli interessi e dei rischi dei manager e degli altri soci per beneficiare del regime dei redditi di natura finanziaria.
La risposta n. 256/2025, poi, ha riconosciuto la possibilità di applicare il regime fiscale di cui all’art. 60 del DL 50/2017 nel caso in cui la remunerazione prevista per delle “Preferred Shares” garantisce al Fondo un ritorno nel proprio investimento più un rendimento fisso e limitato al 10% annuo composto. Solo una volta che sia superato tale limite, l’eventuale eccedenza può andare a remunerare proporzionalmente le altre azioni ordinarie e più che proporzionalmente le azioni con diritti patrimoniali rafforzati.
Tale circostanza porta a considerare integrato il requisito della postergazione dell’extra-rendimento.
Infine, la risposta a interpello n. 257/2025 ha escluso che i manager assumono un sostanziale ruolo di investitori in relazione ai redditi derivanti da degli SFP (strumenti finanziari partecipativi) assegnati ai manager che hanno sottoscritto azioni ordinarie/speciali. Infatti, il rischio di perdita del capitale investito riguarda solo gli impieghi destinati all’acquisto delle azioni.
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