ACCEDI
Lunedì, 24 novembre 2025 - Aggiornato alle 6.00

ECONOMIA & SOCIETÀ

Joint Statement Usa-Ue non in contrasto con l’impegno europeo per lo sviluppo sostenibile

L’accordo traguarda soluzioni di maggiore flessibilità e semplificazione delle procedure

/ Alessandro BAUDINO e Giuseppe CHIAPPERO

Lunedì, 24 novembre 2025

x
STAMPA

download PDF download PDF

Oltre alla guerra dei dazi e all’ordine alle imprese estere che operano con le aziende pubbliche Usa di adeguarsi alle nuove politiche anti DEI (si veda “Politiche Usa anti DEI con effetti sugli obiettivi europei di sostenibilità” del 27 maggio 2025), due Ordini esecutivi (OE) del Presidente Trump in tema di energia e ambiente aprono nuovi complessi scenari:
- l’OE “Putting America First in International Environmental Agreements”, che ha imposto agli Stati Uniti di ritirarsi formalmente dall’accordo di Parigi sul clima e da tutti gli accordi o patti correlati nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC);
- l’OE “Unleashing American Energy”, che impone alle agenzie federali di promuovere la produzione di energia tradizionale e revocare le normative e politiche che ostacolino lo sviluppo e l’uso delle risorse energetiche nazionali “con particolare attenzione al petrolio, al gas naturale, al carbone...”.

A seguito di questi OE, le imprese americane si trovano oggi svincolate dal rispetto di norme (e trattati) che impongono invece a quelle europee obiettivi di sostenibilità a livello globale e non consentono compromessi o deviazioni in ragione della nazionalità dei partner industriali o commerciali extra Ue. In questa direzione si pone la direttiva 2024/1760/Ue (Corporate Sustainability Due Diligence Directive, c.d. “CSDDD”), approvata il 24 aprile 2024, che impone alle imprese europee a essa soggette di verificare lungo tutta la catena di fornitura/valore che i loro partner commerciali rispettino gli obiettivi ESG, e, come ultima risorsa, di interrompere le relazioni commerciali quando la loro prosecuzione possa causare un grave impatto negativo sull’ambiente o sui diritti umani.

Questo tema è stato affrontato nei punti da 10 a 12 del “Joint Statement on a United States-European Union framework on an agreement on reciprocal, fair and balanced trade”, siglato il 21 agosto 2025 tra i Presidenti Trump e Von der Leyen. Al punto 10, l’Ue, riconoscendo che la produzione delle merci rilevanti all’interno del territorio degli Stati Uniti comporta un rischio trascurabile di deforestazione globale, si impegna ad affrontare le preoccupazioni dei produttori ed esportatori statunitensi riguardo al Regolamento UE sulla Deforestazione, con l’obiettivo di evitare impatti indebiti sul commercio tra UE e USA.
Al punto 11, la Commissione europea, prendendo atto delle preoccupazioni degli Stati Uniti relative al trattamento delle piccole e medie imprese statunitensi nell’ambito del Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alle Frontiere (CBAM), oltre all’aumento recentemente concordato dell’eccezione de minimis, si impegna a lavorare per fornire ulteriori flessibilità nell’attuazione del CBAM.
Al punto 12, l’Ue si impegna a compiere sforzi per garantire che la CSDDD e la Direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità delle imprese (CSRD) “non impongano restrizioni indebite al commercio transatlantico.

Occorre quindi chiedersi che portata avranno questi impegni – che appaiono come un cedimento su principi che ritenevamo acquisiti per i nostri ordinamenti e la nostra cultura – e in che misura potranno influire sulla legislazione (nazionale e comunitaria) e sulle politiche (commerciali e industriali) delle imprese europee.
Come si legge nel testo ufficiale diffuso dalla CE, l’accordo è espressamente definito come “politico”. Inoltre, gli impegni assunti dall’Ue vengono espressi in termini di “committment” e non di obbligazioni vincolanti (quali quelle recepite in trattati o convenzioni). I termini usati (“the European Union commits to work to address the concerns of US ...”; “The European Union commits to undertake efforts to ensure ...”) consentono quindi di affermare che gli impegni assunti manterranno la valenza politica di mere dichiarazioni di indirizzo.

Il Joint Statement traguarda soluzioni di maggiore flessibilità, che ritroviamo anche in alcuni dei provvedimenti seguiti all’annuncio del primo pacchetto Omnibus lo scorso 26 febbraio:
- la direttiva (Ue) 2025/794 del 14 aprile 2025 c.d. “Stop-the-Clock”, recepita il 9 agosto 2025 con DL 95/2025 conv. L. 118/2025, che lascia più tempo alle imprese per familiarizzare con le nuove regole sul reporting (CSRD) e sulla due diligence (CSDDD) della sostenibilità e coordinarsi al meglio coi propri partner commerciali lungo la value chain;
- il regolamento delegato C(2025) 4812 final dell’11 luglio 2025 (Quick Fix), che consente alle imprese già entrate nel perimetro della CSRD sin dal 2024 (c.d. “wave 1”) di continuare a rendicontare sulla sostenibilità nei due anni successivi avvalendosi degli stessi relief previsti nel phase-in period;
- il regolamento (Ue) 2025/2083 dell’8 ottobre 2025 di semplificazione del meccanismo di controllo delle emissioni alle frontiere (CBAM), che lo ha reso più vicino alle esigenze degli operatori.

Tuttavia, i commitment con gli Usa non potranno mai entrare in contrasto con l’impegno dell’Europa per lo sviluppo sostenibile, che nell’attuale mandato della Commissione (2024-2029), non viene meno, né potranno invertire un percorso tracciato da norme di rango costituzionale (artt. 2 Cost. e 2 del Trattato Ue, in tema obblighi di solidarietà; artt. 9 e 41 Cost., in tema di tutela della salute e dell’ambiente “anche nell’interesse delle future generazioni”; art. 46 Cost., in tema di impresa inclusiva), che individuano nella sostenibilità un obiettivo necessario per garantire la sopravvivenza del pianeta e delle generazioni future.

Va nella stessa direzione l’accordo sul clima, raggiunto il 5 novembre scorso dai ministri dell’ambiente Ue a poche ore dall’avvio della COP 30 di Belem e confermato nell’ultima seduta dell’Eurocamera, di mantenere fermo l’obiettivo del taglio del 90% delle emissioni rispetto al 1990 entro il 2040, pur ammettendo che una piccola quota, nell’ordine del 5%, sia raggiungibile con crediti internazionali di carbonio extra Ue.
La barra rimane dunque dritta, seppure in un contesto di maggiore flessibilità, verso gli obiettivi dell’accordo di Parigi e di Agenda 2030 ribaditi nel Patto per il Futuro siglato da 143 Paesi a New York in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 22 e 23 settembre 2024.

TORNA SU