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L’autotutela sostitutiva non può essere implicita

Senza una dichiarazione di sostituzione, il nuovo avviso resta inefficace

/ Fabio FRONTONI

Lunedì, 24 novembre 2025

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L’ordinanza n. 29604 del 10 novembre 2025 della Cassazione evidenzia una possibile criticità procedurale con effetti distorsivi nell’attività impositiva: l’emissione di un nuovo avviso di accertamento durante la pendenza del giudizio sul primo atto.

Nel caso esaminato, il contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento, lamentando la mancanza di sottoscrizione. Mentre la controversia era in corso, l’Ufficio notificava un secondo avviso, identico al primo. Non vi era alcuna indicazione che il nuovo atto sostituisse il precedente o che quest’ultimo fosse stato annullato in autotutela. Nonostante ciò, l’Agenzia delle Entrate iscriveva a ruolo le somme e notificava le cartelle di pagamento, facendo leva sulla mancata impugnazione del secondo avviso e sulla presunta definitività dello stesso.

Questa prassi, però, non ha trovato approvazione da parte dei giudici di legittimità. L’Agenzia delle Entrate, come detto, non ha allegato il testo dell’avviso di accertamento né indicato, nemmeno sinteticamente, una clausola di annullamento del primo atto. È bastato questo per far emergere un vizio nel procedimento di formazione dell’atto: il secondo avviso infatti, così come formulato, non poteva costituire un nuovo titolo impositivo. Parallelamente, il primo avviso era stato annullato in primo grado. Di conseguenza, non esisteva alcun provvedimento valido a sostenere la riscossione. La Corte, ricostruendo la sequenza procedurale e confrontandola con il quadro normativo e la giurisprudenza consolidata, ha confermato l’illegittimità delle cartelle di pagamento.

Dal punto di vista del contribuente, la vicenda offre un esempio concreto e rilevante. Quando l’Amministrazione notifica due avvisi con lo stesso presupposto impositivo senza chiarire quale sia quello valido, il destinatario non è obbligato a impugnare entrambi. La sua inerzia rispetto al secondo avviso non può essere interpretata come accettazione della pretesa. In un simile contesto, il sistema non può attribuire efficacia a un atto non correttamente qualificato, che non consente di identificare univocamente la pretesa impositiva. Ne deriva che ogni successiva cartella, basata su un titolo rimasto giuridicamente incerto, è viziata e annullabile.

Si rischia la doppia imposizione

Sul piano generale, l’ordinanza contribuisce a ridefinire i confini della procedura amministrativa, ovvero come la prassi deve effettivamente agire.

Va ricordato che il potere di autotutela, come la normale potestà impositiva, ha radici costituzionali negli artt. 2, 23, 53 e 97 Cost., poiché mira a garantire l’interesse pubblico alla corretta riscossione dei tributi legalmente accertati. Regolato dagli artt. 10-quater e 10-quinquies della L. n. 212/2000, questo potere consente all’Amministrazione di annullare un atto impositivo viziato, sia per motivi formali sia sostanziali, e di sostituirlo con un nuovo provvedimento, anche se comporta una pretesa maggiore.

Tuttavia, non può trasformarsi in un meccanismo implicito o informale. Deve seguire un percorso chiaro. Solo così si evita l’emissione di atti duplici preservando il diritto di difesa del contribuente.
Restano però fermi l’obbligo e la necessità che il nuovo avviso dichiari chiaramente di sostituire quello precedente. Solo così il contribuente sa con certezza quale atto può impugnare e si evita il rischio di doppia imposizione sullo stesso presupposto.

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