Se l’Agenzia delle Entrate diventa «tuttofare»
Nei giorni scorsi è filtrata la notizia, ripresa anche da altri media, dell’intendimento dei vertici dell’Agenzia delle Entrate di procedere a una riorganizzazione delle risorse interne finalizzata a potenziare considerevolmente l’attività di assistenza e consulenza al contribuente, di modo che un numero sempre maggiore di cittadini possa riuscire a presentare la propria dichiarazione dei redditi senza aver bisogno di rivolgersi a un professionista.
A prima vista l’iniziativa appare lodevole, ma in verità suscita più perplessità che applausi.
Innanzitutto, il vero aiuto che l’Agenzia delle Entrate può dare ai contribuenti è quello di provare a stimolare il Legislatore a costruire un Fisco più semplice e con meno adempimenti possibili, anziché un Fisco più complesso e con adempimenti in costante crescita.
In un Paese civile è fuor di dubbio che un contribuente, che non svolge attività complesse dal punto di vista amministrativo (come possono comprensibilmente esserlo, per esigenze di rendicontazione, quelle di lavoro autonomo e di impresa) e sia dotato di una intelligenza media, debba poter riuscire a presentarsi da solo la propria dichiarazione, senza doversi rivolgere, per un adempimento così elementare, per forza a un libero professionista, a un CAF oppure, aggiungiamo, all’Agenzia delle Entrate.
Anche perché, ragionando in termini di costi per la collettività, nemmeno l’assistenza resa dall’Agenzia delle Entrate è gratuita per il cittadino, posto che il suo funzionamento è finanziato con soldi pubblici (2.865 milioni di euro nel 2010).
Possibile che questo tipo di attività venga svolta dall’Agenzia con criteri di efficienza tali da non necessitare di ulteriori aumenti del budget che lo Stato deve mettere annualmente a sua disposizione?
Oppure assisteremo in futuro a richieste di aumenti di dotazioni, già oggi importanti, nell’ordine di ulteriori centinaia di milioni di euro, al fine di assicurare ai cittadini un’assistenza fiscale “gratuita”?
Il dubbio è legittimo.
Se infatti, rispetto alla generalità delle altre Pubbliche Amministrazioni italiane, l’Agenzia delle Entrate potrebbe a buon diritto dare lezioni di efficienza, in termini assoluti sembrerebbero esserci, invece, ancora ampi margini di miglioramento nelle aree che sono il suo core business, prima che diventi ragionevole pensare anche al significativo potenziamento di altre funzioni “accessorie”.
Basti pensare al sistematico ritardo con cui vengono rilasciati ogni anno i software per la compilazione degli studi di settore e la zoppicante tempestività su alcuni chiarimenti di ampio respiro e interesse, come ad esempio nel recentissimo caso della “cedolare secca” sulle locazioni immobiliari.
Senza dimenticare la lotta all’evasione fiscale: siamo il Paese con l’Anagrafe tributaria telematica più sviluppata e ricca di informazioni d’Europa e probabilmente del mondo; eppure, secondo le stime che la stessa Agenzia delle Entrate sembrerebbe ritenere veritiere, siamo anche uno dei Paesi con l’evasione fiscale più elevata.
Il motivo di questa evidente contraddizione può essere senza dubbio ricercato anche nella propensione del cittadino medio italiano a mancare di rispetto alle regole (non solo quelle fiscali).
Non può, però, essere solo questo.
Ecco quindi che, se ragioniamo in termini di efficienza del sistema Paese, il vero obiettivo cui bisogna tendere non è un’Amministrazione finanziaria che, con oneri magari maggiori per la collettività, si sostituisca ad altri in un’attività di “assistenza basica” che un’adeguata semplificazione del sistema fiscale e della modulistica renderebbe, giustamente e finalmente, superflua.
Il vero obiettivo deve essere appunto l’introduzione di semplificazioni sostanziali e formali che eliminino alla radice la necessità del contribuente di essere assistito nella presentazione della propria dichiarazione dei redditi anche quando le cose che deve dichiarare sono proprio elementari.
Dopodiché è possibile, per non dire probabile, che, raggiunto questo importante obiettivo, tutti coloro che si rivolgevano per cose tutto sommato banali a CAF e patronati smetterebbero di farlo, mentre un buon numero di quelli che, per quelle medesime cose, si rivolgevano al proprio commercialista, continuerebbero a farlo.
Questa però è tutta un’altra storia, troppo difficile da spiegare a chi magari vede in questo legame qualcosa di negativo da spezzare, anziché il fondamento stesso su cui dovrebbe reggersi un Paese che funziona: fiducia.
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