Le Banche, il vero ostacolo alla ripresa
Caro Direttore,
queste riflessioni derivano da esperienze professionali degli ultimi tempi, che riguardano specificamente un’impresa i cui amministratori sono costretti, dopo aver ottenuto affidamenti garantiti da ipoteche su immobili anche personali per importi molto superiori ai fidi concessi, a vedere continuamente incagliati i conti per gli insoluti fatti da clienti, dovendo così impiegare le proprie energie e quelle aziendali non tanto nel proprio lavoro, che fortunatamente non manca, ma nel gestire l’ormai quotidiana emergenza generata da insoluti e tardivi pagamenti. Problemi analoghi, nella mia esperienza quotidiana, sono presenti anche nella microimpresa affidata per poche migliaia di euro.
Le banche, dopo aver ristretto in maniera drastica i cordoni degli affidamenti, dopo aver allungato a dismisura i tempi per dare una risposta alla concessione dei fidi, dopo aver, nel nome della trasparenza, fatto sottoscrivere faldoni di carte contenenti informative e condizioni che nessuno è in grado di leggere e sulle quali, anche quando sia stata possibile la lettura, vi è l’impossibilità di modificare clausole e prescrizioni, in presenza di insoluti bloccano l’utilizzo dei conti stessi pur sempre all’interno degli affidamenti concessi alle imprese.
Ottenere uno scoperto di conto corrente è ormai un’impresa, più che ardua, impossibile e l’azienda riesce a ottenere, con onerosissimi costi diretti e indiretti (produzione di documentazione e notifica della cessione con raccomandata), un anticipo sulle fatture. A questo punto, interviene ormai per moltissime aziende il meccanismo degli insoluti, che agisce sull’azienda e sul sistema globale come un volano inarrestabile. A fronte di una certa percentuale di insoluti, nonostante si rientri nel fido concesso, la banca cessa di accettare nuove fatture o nuove ricevute sempre dentro gli affidamenti già concessi, se prima non intervengono i bonifici o i pagamenti relativi agli insoluti.
Probabilmente, gli istituti sono rimasti “scottati” dalla produzione di documenti cartacei privi di effettive operazioni commerciali. Ormai, però, constato sempre di più che a monte di una riba o di una fattura insoluta non vi è l’intento truffaldino dell’azienda, ma un problema analogo nel soggetto che doveva effettuare quel pagamento. Purtroppo, ad oggi, lasciare andare insoluta una ricevuta o non onorare alla scadenza il pagamento di una fattura è diventato per le aziende una normale consuetudine, generata non soltanto dal malcostume, bensì divenuto un malcostume imposto dal continuo bisogno di liquidità, che diviene a sua volta maggiormente impellente in conseguenza delle ripercussioni a cascata che si generano e autoalimentano.
Ma che possibilità ha l’azienda, se non quella di sospendere le forniture o i servizi al proprio cliente se questi non paga puntualmente? Al di là della necessità della valutazione del rischio nella concessione di affidamenti per la fornitura di merce alla propria clientela, che assume sempre maggior importanza nella gestione amministrativa aziendale, il fenomeno risente fortemente del settore in cui si colloca l’azienda. Spesso l’interruzione della fornitura comporta per l’azienda non solo la perdita del lucro futuro, ma anche quella del credito pregresso.
In questo meccanismo, le banche giocano un ruolo molto importante. Sempre più spesso assisto a istituti che, dopo aver passato al setaccio l’azienda, dopo avergli ridotto gli affidamenti e dopo aver ottenuto le più disparate garanzie anche reali, inchiodano aziende, piccole e medie, per i tassi di insoluti che le stesse hanno per colpe a loro non imputabili. Insoluti che non dipendono dall’azienda o dalla bontà del cliente, ma da una reale carenza di liquidità del sistema e del circuito.
Come usciamo da questa situazione? Di sicuro è necessaria una maggior attenzione alla valutazione dell’affidamento che le aziende concedono ai propri clienti, ma è anche necessario che le banche tornino a ricoprire maggiormente quella che è una funzione sociale. È necessario che le banche non valutino l’azienda unicamente ed esclusivamente sulla base di un algoritmo e di un rating; che le decisioni non vengano prese ormai unicamente sulla base di numeri indice e di rapporti magari a Verona, Milano o Brescia per l’azienda che si trova a Mestre; che vengano valorizzate all’interno delle banche le risorse umane, con adeguati meccanismi incentivanti e non solo economici.
Parlando con alcuni direttori, tutti oggi meno entusiasti del mestiere praticato rispetto ad alcuni anni fa, mi confidavano la svalutazione del ruolo ricoperto, l’importanza data alla raccolta che non comporta rischi, la grossa responsabilità agli stessi attribuita in relazione agli incagli degli affidamenti e alla difficoltà nella gestione degli stessi. Esiste, così, una fortissima propensione a ricercare provvista, ma altrettanta avversione ad assumersi responsabilità in tema di affidamenti per le ripercussioni negative che incagli di percorso possono portare.
Possiamo fare tutti gli interventi di politica economica ma, se le banche non tornano a dare fiducia alle imprese, dalla crisi non ne usciamo.
Marco Sambo
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Venezia
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