Giovani professionisti: se non ora, quando?
Lo “spauracchio Monti” sta spingendo i vertici del mondo ordinistico a sottolineare con sempre maggiore insistenza come gran parte degli iscritti agli Albi sia under 45 e come i giovani liberi professionisti abbiano diritto di vedere valorizzati i loro sforzi al pari di tutti gli altri lavoratori.
Due verità solari che, senza dubbio alcuno, sono sempre state poco considerate dai Governi e dalle maggioranze politiche che si sono succedute in questi quindici anni, palesemente incapaci di vedere nei liberi professionisti altro che dei privilegiati da combattere o dei privilegiati da blandire, a seconda di convenienze e ideologie.
Due verità solari che, però, gli Ordini non possono oggi pretendere di andare a rivendersi in giro per il Paese, senza nemmeno pagare dazio a quei giovani liberi professionisti che, ora, erigono come uno stendardo, ma che, troppo spesso, sono stati i primi a trascurare.
Quante volte la voce degli Ordini delle varie professioni, a livello nazionale come a livello locale, si è alzata con pari vibrante intensità per richiamare l’attenzione su norme di legge e su sempre più frequenti prassi di tribunali e altre Pubbliche Amministrazioni che pongono il mero dato dell’anzianità di iscrizione all’Albo quale criterio preselettivo nell’assegnazione di incarichi e pratiche?
A che livello si pone, nella scala delle priorità dei vari Consigli nazionali, l’eliminazione dagli ordinamenti professionali di norme che subordinano la possibilità di avere tirocinanti, oppure il diritto di elettorato attivo e passivo, a un numero minimo di anni di iscrizione all’Albo?
Quando si inneggia alle tariffe minime come baluardo per la difesa dei professionisti più giovani, si sta forse pensando, finalmente, di approntare nel loro ambito anche un modello remunerativo di riferimento per i giovani liberi professionisti che operano come collaboratori con partita IVA all’interno di studi di altri colleghi, che li impiegano magari per anni e anni, ma non li associano?
La difesa dell’autonomia delle Casse di previdenza è invocata dal mondo ordinistico per rivendicare il diritto dei giovani a decidere liberamente del loro futuro pensionistico senza essere costretti a versare una contribuzione minima obbligatoria esorbitante come quella imposta dalla Gestione separata INPS, oppure per rivendicare il diritto di mantenere in piedi, fino al loro naturale esaurimento, privilegi indecorosi che proprio sulle spalle dei giovani fondano la loro sostenibilità finanziaria?
I giovani liberi professionisti non devono cedere alla tentazione di agevolare la strada a chi dovesse avere come obiettivo non la riforma delle libere professioni, quanto piuttosto il loro smantellamento, per clamorosa incapacità di capire che c’è molto più libero mercato dove operano tantissimi piccoli studi governati da professionisti indipendenti che non dove operano pochi grandi realtà governate da capitali e marchi.
Sarebbe davvero un errore clamoroso, imperdonabile e irrimediabile.
I giovani liberi professionisti non devono, però, nemmeno lasciarsi usare come uno scudo umano, se prima chi come tali vorrebbe utilizzarli (e, passata la buriana, magari tornare a riporli in soffitta) non accetta di dare risposte concrete a quelle e ad altre domande che li riguardano da vicino e che, assai più e meglio di questioni estemporanee come l’abrogazione dell’esame di Stato o del tirocinio, stanno alla base di una reale accessibilità dei mercati professionali.
Invece di continuare a discutere di riforme delle libere professioni per i giovani liberi professionisti, cominciamo a farle proprio con il contributo determinante di quei giovani.
Perché?
Non per vano e patetico giovanilismo, ma per due banalissime ragioni.
La prima: in quanto parte di quel mondo, ne conoscono realmente la natura e le dinamiche, al di là di luoghi comuni e tesi precostituite che rispondono a scenari socio-economici di trent’anni fa e più.
La seconda: in quanto parte maggiormente interessata di quel mondo a renderne agevole l’accessibilità per chi vi muove i primi passi, sanno distinguere dove finisce la tutela dell’interesse pubblico e inizia la tutela di una rendita di posizione, con maggiore obiettività sia rispetto a chi è esterno alle professioni, sia rispetto a chi è ormai da tempo al loro interno e vi si è, buon per lui, ben insediato, in un contesto che però non risponde più a quello attuale.
Insomma, sarebbe nell’interesse stesso delle libere professioni, oltre che del Paese, se i giovani liberi professionisti, invece di essere usati come oggetti per offendere o difendere gli Ordini, vedessero riconosciuto il loro ruolo di soggetti attivi e imprescindibili per un processo serio di riforma, che è opportuno almeno quanto sono inopportune alcune delle recenti norme introdotte a colpi di emendamenti notturni.
Se non ora, quando?
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