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LETTERE

Per ridare appeal alla professione, bisogna puntare sulla programmazione

Mercoledì, 12 giugno 2013

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Gentile Redazione,
quotidianamente assistiamo con apprensione al rallentamento della crescita che drammaticamente sta investendo anche le libere professioni. Un generale clima di rinnovamento, o meglio di necessità di un radicale rinnovamento, pervade, a parole e speriamo più celermente nei fatti, i programmi politici, la necessità di idee che rilancino l’economia del Paese e che costruiscano le condizioni alla base di una ripresa effettiva. Guardare alle professioni vuole essere un invito a non trascurare l’essenziale terreno che queste attività cercano oggi di rendere produttivo e utile a tutta la società.

Le società avanzate hanno infatti un enorme bisogno di lavoro intellettuale applicato a livello di tutte le loro maggiori funzioni. Da ciò deriva lo stretto collegamento che esiste tra avanzamento economico-sociale e riconoscimento delle attività professionali, essendo queste ultime l’espressione più tipica di tale lavoro. È un fatto, questo, di cui non sembrano avere sufficiente consapevolezza né gli esponenti del mondo produttivo, né quelli del mondo politico. Guardare alle professioni è una sollecitazione a considerare con più interesse un mondo che è oggi rappresenta una delle maggiori fonti di avanzamento e progresso.

Colpisce quindi, ma non sorprende, la stima pubblicata dal MIUR ad inizio anno sui dati degli esami di Stato per l’accesso alle libere professioni. Un calo di oltre il 7% rispetto al 2010, che fa ancor più impressione se raffrontato alla tendenza in atto dal 2007, che registra un calo di oltre il 20%. La professione di commercialista risulta essere una delle più colpite. In tutto, oltre 9mila giovani hanno chiesto nel 2012 la cancellazione dall’Albo.

Cosa accade? Viene spontaneo considerare che, se per molto tempo siamo stati tacciati di essere caste chiuse ed arroccate in feudi privilegiati, ci si domanda come mai tanti giovani non riescano più a farlo o, se l’han fatto, hanno trovato solo casupole diroccate al posto di leggendarie residenze reali in cui svolgere il proprio lavoro. Un terreno così arido da spingerli a rinunciare.

Diventerà, la nostra, ma anche molte altre, una professione per “vecchi”? I fattori che possono ridare appeal alla professione sono tanti, molti dei quali indispensabili.
Innanzitutto, la migliore conoscenza del mondo professionale, utile a chi si avvicina alla professione col desiderio di comprenderne l’evoluzione, l’apparizione in nuovi settori, le dinamiche interne. Se un tempo bastava pronunciare la parola “dottore commercialista” per sognare una carriera e intraprendere la strada impegnativa che essa impone, oggi i giovani vanno coltivati, motivati, catturati con efficaci programmazioni per l’avvenire.

Chi e come deve farlo? Alcuni elementi sono assolutamente prioritari per risvegliare l’auspicato interesse e, con esso, il risveglio del Paese intero per il quale e nel quale operiamo incessantemente. La riforma delle professioni deve trovare un punto di equilibrio che consenta alle categorie di sentirsi parte integrante di un sistema, interlocutori attivi e propositivi del Governo, fautori del loro ruolo fondamentale di innovatori, che attraverso le loro competenze e specializzazioni, favoriscano lo sviluppo, rinunciando ad essere relegati al ruolo di meri esecutori di compiti burocratici della macchina statale. La necessaria esigenza di una modernizzazione delle professioni va direzionata all’effettiva tutela degli interessi della collettività, offrendo regole certe in cui i professionisti qualificati forniscano prestazioni efficienti.

Altro elemento è la necessità di un ruolo propulsivo degli Ordini, spesso in affanno nelle politiche informative, di accesso e di programmazione che vadano al di là delle semplici offerte formative. Troppo spesso i giovani faticano a comprendere il ruolo degli Ordini che invece dovrebbero, in primis, pensare al futuro. Ma, troppo spesso, si offrono spettacoli indecorosi e poco attenti proprio ai più indifesi, per tutelare logiche che non sono mai un bene per la categoria e ci lasciano esposti tutti, giovani e meno giovani, alle intemperie delle politiche economiche di turno. Speriamo bene.
Altro elemento da non trascurare per donare smalto alla professione è poi quello di puntare sulla qualità della preparazione e sulla modalità di svolgimento aggregato della stessa. Quindi specializzazione e società tra professionisti, in attesa di decreti attuativi, ma fondamentale per un futuro più gestibile.

Insomma, ricette semplici. Per il futuro bisogna esser snelli e tonici, la competizione è troppo importante, ma sostenibile; le ricette elaborate appesantiscono. E poi, ogni bravo chef che si rispetti ha il suo segreto, l’ingrediente in più. Il nostro, quello che c’era e non deve mancare al futuro, è la passione. Senza quella, ogni piatto è uguale agli altri e si perde nella mediocrità.


Carmela Boleto
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bari

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