Responsabilità dell’amministratore di diritto nei reati fiscali da verificare
Il prestanome può rispondere di illeciti commessi dall’amministratore di fatto, quanto meno sotto il profilo del dolo eventuale
Pubblichiamo l’intervento di Vincenzo Pacileo, Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Torino.
Si direbbe che, dopo avere concettualmente risolto il problema della responsabilità penale dell’amministratore di fatto (in particolare nei reati fiscali, societari e fallimentari) – complice l’assestamento normativo provveduto dall’art. 2639 c.c. –, la dialettica interpretativa si sia spostata, apparentemente in maniera un po’ paradossale, sul fronte dell’amministratore di diritto che sia un mero prestanome. Nonostante ogni esito processuale sia ovviamente condizionato dalle peculiarità fattuali che lo caratterizzano, si può, forse, azzardare l’impressione che la giurisprudenza di merito coltivi tendenzialmente una certa preferenza per l’esenzione da responsabilità di tale soggetto sotto il profilo soggettivo, mentre quella della Cassazione sia incline a maggior severità e rigore. Giungono come involontaria esemplificazione di quanto sopra due recentissime sentenze in materia di reati fiscali.
Nel primo caso, il Tribunale di Milano si è trovato a giudicare il legale rappresentante di una società “cartiera” per le violazioni degli artt. 5, 10-bis e 10-ter del DLgs. 74/2000. L’amministratore era un pensionato che aveva accettato, per 30.000 euro, di assumere a tempo la carica per conto di persone per le quali in passato aveva fatto da autista. Il Tribunale, pur dimostrando di conoscere la giurisprudenza più restrittiva della Cassazione, ha concluso per il dubbio che l’imputato, anche in ragione delle sue condizioni personali (pensionato), avesse avuto la pur minima consapevolezza degli illeciti commessi dall’amministratore di fatto e “degli obblighi e delle responsabilità connesse alla accettazione di una carica con una «firma» dal notaio”. Conseguentemente, lo ha assolto con la formula “perché il fatto non costituisce reato” (sentenza del 24 ottobre 2013).
Fa da utile contraltare a tale esito la sentenza della Cassazione n. 47110 del 27 novembre 2013, investita dal Procuratore generale per saltum (quindi per motivi di diritto) avverso la sentenza con cui il Tribunale di Bergamo aveva assolto l’amministratore/prestanome dal reato di cui all’art. 4 del DLgs. 74/2000. Viene ricordato dalla Corte che l’amministratore deve sempre e comunque rispettare gli obblighi di cui all’art. 2392 c.c. ed anche quando gli illeciti siano materialmente addebitabili all’amministratore di fatto il prestanome ne (può) risponde(re) a titolo di concorso per non avere impedito la commissione del reato (art. 40, cpv, c.p.), quanto meno sotto il profilo del dolo eventuale.
Viene pure citata quella giurisprudenza che annette all’accettazione della carica anche l’accettazione dei rischi che vi sono connessi (Cass. n. 7208/2006; Cass. 4 luglio 2006 n. 22919). Nel caso di specie, segnala la Corte, il prestanome aveva rivestito la carica di amministratore per diversi anni e col passar del tempo era venuto a conoscenza di atti gestori di dubbia regolarità da parte dell’amministratore di fatto. La Corte ha, pertanto, annullato la sentenza, rimettendo al primo giudice il compito di verificare l’esistenza del dolo eventuale in capo all’imputato.
Orbene, è fin troppo ovvio che non c’è responsabilità penale in assenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla specifica fattispecie incriminatrice (Cass. 10 giugno 2011 n. 23425 su imputazione ex art. 5 del DLgs. 74/2000). Ma è poi tema più delicato il suo accertamento; accertamento che è, bensì, una questione di fatto, ma che deve rispettare determinati paradigmi normativi. Di più, il dolo nei reati dell’amministratore di società ha un contenuto non solo naturalisticamente psicologico, ma anche normativo, perché illuminato da alcune disposizioni di legge (in particolare l’art. 2392 c.c., per i sindaci gli artt. 2403 e 2407 c.c. ).
Questo significa che sarebbe scorretto affermare semplicisticamente che l’amministratore/prestanome non ha esercitato alcuna ingerenza gestoria, non era a conoscenza della contabilità ecc., per pervenire alla sua assoluzione. Al contrario, dovrà sempre essere verificato se egli è venuto meno consapevolmente e volontariamente a quegli obblighi di vigilanza che il codice gli impone (anche dopo la riforma dell’art. 2392 c.c. : Cass. 5 febbraio 2013 n. 2737), anche sotto il profilo del dolo eventuale.
Se l’automatismo che alcune delle sentenze succitate istituiscono tra assunzione della carica e responsabilità penale può apparire un po’ forte, non è accettabile la posizione del Tribunale di Milano, che sembra negare qualsiasi obbligo discendente dalla nomina di amministratore per il solo fatto che l’imputato non fosse consapevole. Infatti, costituisce principio generale che ciascuno è tenuto a informarsi sugli obblighi che conseguono alla posizione che si assume (si consideri in materia societaria l’obbligo dell’agire informato degli amministratori senza delega di cui all’art. 2381, comma 6 c.c. ). Se non lo fa, imputet sibi.
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