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LETTERE

Le presunte liberalizzazioni ad assetto variabile colpiscono i commercialisti

Lunedì, 16 giugno 2014

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Egregio Direttore,
colgo l’occasione per fare i miei personali complimenti alla forza di resistenza dimostrata dai tassisti milanesi rispetto all’attacco subito da parte di Uberpop, ovvero il servizio della società Uber che avrebbe consentito anche ai privati cittadini di effettuare corse a pagamento.

Un risultato ottenuto anche grazie alle poderose e bipartisan pressioni politiche, che si sono transustanziate in affermazioni del tipo “Così come è formulata Uberpop è un esercizio abusivo della professione”, con la precisazione che “se viene riconosciuta questa violazione è chiaro che si tratta di un servizio illegale” e, ancora, “Chi eroga questo servizio compie un esercizio abusivo della professione. Ognuno se ne deve assumere la responsabilità”.
Immensa soddisfazione si sarà diffusa, immagino, tra i tassisti e le loro organizzazioni sindacali: le licenze potranno rimanere in cassaforte, senza tema di svalutazione alcuna.

Purtroppo, lo stesso non si può dire dei diplomi di laurea e dei titoli abilitanti che fanno bella mostra di sé negli studi professionali dei dottori commercialisti di questo Paese. Premetto, da subito, che l’accostamento potrà pure sembrare azzardato, paradossale e a tratti capzioso, causa le evidenti disomogeneità, ma si tratta, chiaramente, di convergenze parallele, purtroppo per noi!

Preliminarmente, vorrei evidenziare come susciti in me puro stordimento, mi perdoneranno i tassisti, l’utilizzo “semplificato” del termine professionista, atteso che per la nostra Costituzione è tale esclusivamente il soggetto che abbia superato un esame di Stato abilitante all’esercizio professionale. Storia vecchia? Forse sì. Del resto, “grazie” alla L. n. 4/2013, possono essere definiti professionisti, quasi quasi, anche i soggetti specializzati nell’apertura con i denti dei tappi delle bottiglie di birra, chapeau!

Ancora maggiore è la mia ammirazione per il risultato ottenuto, se solo penso alla sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. n. 11545/2012. Una sentenza importantissima, ci mancherebbe altro, per i dottori commercialisti e per gli esperti contabili, in tema di tutela delle competenze tecniche attribuite dal DLgs. 139/2005 agli iscritti nella sezione B dell’albo professionale e, a maggior ragione e per espressa previsione normativa, agli iscritti nella sezione A del medesimo.
Nella fattispecie concreta, oggetto della sentenza, si sono analizzate le competenze tecniche legate alla tenuta della contabilità aziendale, alla redazione delle dichiarazioni fiscali e all’effettuazione dei relativi pagamenti.

In generale, la Corte ha statuito che integra il reato di esercizio abusivo di una professione “il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato”.

Come dire, pertanto, che determinate competenze, ovviamente non esclusive, possono essere esercitate da soggetti privi dell’abilitazione allo svolgimento della professione, purché nel compimento delle stesse sia chiaramente appalesata la circostanza dell’assenza del titolo professionale afferente. La tavola da surf a poco è, poi, servita di fronte all’ondata “liberalizzatrice”, o presunta tale, che si è abbattuta sulle nostre già neglette spiagge con la dissennata L. 4/2013.

Cosa abbiamo di diverso rispetto ai tassisti? Moltissimo, sembra di poter dire. Questo perché il servizio pubblico non di linea può essere erogato, allo stato attuale, unicamente dai taxi e dagli Ncc, ovvero è svolto in regime di esclusiva. Pertanto, un privato cittadino, dotato dei requisiti minimi, sembrerebbe non si possa sostituire di fatto ai taxi, pur dichiarando chiaramente di non essere un soggetto autorizzato, vale a dire di non essere né un tassista né un Ncc, mentre al medesimo – ove volesse intrattenere, ad esempio, un’attività di tenuta della contabilità – sarebbe sufficiente dichiarare da subito di non essere un dottore commercialista o un esperto contabile per potersi allegramente dedicare agli atti oggetto di competenza tecnica non esclusiva.

Il nostro amato Paese funziona così, con presunte liberalizzazioni ad assetto variabile. I dottori commercialisti si sono ormai, purtroppo, abituati. Come dire, koyaanisqatsi della professione.

A conclusione di questa lettera assai paranoica, lo ammetto, una preghiera rivolta a tutti i colleghi genitori. Quando i vostri bambini verranno da voi, con un semicerchio di gioia stampato sul visino, brandendo una macchinina bianca (ai miei tempi gialla), ebbene, non cercate di dissuaderli, ma, anzi, aiutateli a coltivare il loro desiderio di fare i tassisti da grandi. Tassisti uber alles!


Marco Cramarossa
Presidente Probiviri UGDCEC di Bari e Trani

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