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LETTERE

Per contare qualcosa a livello politico noi professionisti dobbiamo allearci

Venerdì, 16 ottobre 2015

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Gentile Redazione,
prendo spunto dalla comunicazione del vostro (ma mi piace di più dire “nostro”) anniversario per esprimere alcune considerazioni “a briglia sciolta”, cioè senza uno specifico ordine logico, ma che possono forse rappresentare il pensiero di parte della professione, in particolare dei colleghi che come me si rivolgono a una clientela “micro”, con servizi da molti ritenuti ormai obsoleti, ma di fatto ancora “piatto forte”, credo, della maggioranza della categoria.

Prima di tutto, da molto tempo assistiamo a una pioggia di agevolazioni rivolte alle varie categorie, con pesanti costi a carico dello Stato. Ogni Governo inventa una sua priorità e per questa prevede sgravi, incentivi, ecc. La mia domanda è molto semplice: non pensiamo che qualche aiuto lo meritino anche coloro che, pur non essendo start up, reti di imprese, utilizzatori di nuove mirabolanti tecnologie, da anni lavorano con sforzi e sacrifici per non licenziare i collaboratori e non gravare sulla collettività? Giusto favorire le nuove assunzioni, ma tenere in vita le vecchie non è forse altrettanto meritorio?
Non sarebbe meglio evitare le agevolazioni settoriali e abbassare a regime le aliquote (INPS, INAIL, ma anche imposte varie dirette e indirette)? Credo che ognuno di noi sarebbe ben felice, se il costo del personale calasse del 10-15%, di assumere e lavorare magari un po’ meno.

Peraltro tutte queste agevolazioni si ripercuotono anche su un altro aspetto molto importante: la concorrenza. Non me ne vogliano i giovani (lo siamo stati tutti, anche se “ai nostri tempi” nessuno ha mai pensato fosse il caso di supportarci), ma mi spiegate come possono dei professionisti che pagano il 60% tra tasse e contributi fronteggiare la concorrenza di chi paga il 5% (sia pure più contributi), tra l’altro con costi di studio spesso nettamente inferiori?
Mi rendo conto di essere impopolare e se penso ai miei figli mi rattristo ma, quando tiro le somme, mi rendo conto che ormai da qualche anno lavoro solo per pagare i dipendenti e le tasse.
Non temo di competere ad armi pari con tutti, anche con chi fa elaborare le contabilità nei Paesi a basso costo, che forse non lavora con il mito della qualità come invece dovrebbe competere a noi professionisti. Non credete che sarebbe un argomento da sottoporre all’Antitrust?

Ogni Governo, poi, fa le proprie scelte, ma di qualunque ideologia siano, tutti sono accomunati nel ridurre e reprimere il nostro ambito professionale. Che sia a vantaggio delle grandi imprese, dello Stato stesso o di chi volete, resta il fatto che ormai da anni siamo costantemente oggetto di pseudo-riforme che conducono sempre più a svilire la professionalità a favore dell’economia. Solo a quest’anno abbiamo ricevuto in regalo:
- il 730 precompilato, che ha appesantito le nostre attività (C.U., ecc.), per di più proprio a favore di quello Stato che ci sta progressivamente esautorando;
- con la legge di stabilità avremo l’aumento delle soglie dei volumi d’affari per essere minimi, che inevitabilmente ridurrà il numero dei clienti (in qualche caso anche in misura notevole, perché ricordiamoci che in Italia come in Europa oltre il 95% delle imprese è veramente “micro”). Noi sappiamo anche che si tratta di una scelta miope, perché il forfait è già stato provato da Visentini e accantonato in breve tempo, in quanto doppia fonte di evasione: prima per non uscire dal regime e poi perché induce i forfettari ad acquisti in nero. Riusciremo a farlo capire ai nostri governanti?
Poi, quanti saranno coloro che dall’anno prossimo chiuderanno forzatamente le partite IVA grazie al Jobs Act?

Tutti ci domandiamo cosa fare per migliorare le cose e ci rendiamo conto che è maledettamente difficile.
Dobbiamo convincerci che solo se sapremo rappresentare un grande numero potremo contare qualcosa a livello politico.
Pensiamo allora ai nostri colleghi medici che rischiano sanzioni incredibili se non parteciperanno alla raccolta dei dati per i 730 precompilati. Ho letto che stanno pensando di rifiutarsi di fare l’invio e mi domando se questo non sia l’unico modo per far comprendere allo Stato che la gran parte di ciò che sta facendo lo deve a noi.
Appoggiamo allora la loro protesta, facciamola nostra e allarghiamola a tutte le altre professioni.
Lavorino insieme il Consiglio Nazionale e Confprofessioni: possono far sentire alta la propria voce “colà dove si puote”; non siano timidi e noi, ciascuno nel nostro piccolo, facciamo sentire l’appoggio ai nostri rappresentanti, perché solo così saranno determinati a difenderci. Sono convinto che se dovessi, come singolo, esporre pubblicamente ciò che ho scritto sopra, qualche Solone mi apostroferebbe con: “Ritirati”.

Non ci sto. Non riesco proprio ad assumere una decisione così pesante nei confronti di chi collabora con me da lustri e delle rispettive famiglie e poi, dopo 42 anni di lavoro, voglio smettere per mia scelta, quando lo deciderò, non perché obbligato. Sennò che “libero” professionista sarei?
Non arrendersi è la sola strada per consentire alle professioni (e forse a tutto il ceto medio) di riprendersi lo spazio che compete loro e ricreare un futuro che consenta ai giovani di crescere e formarsi con le proprie forze, non grazie ad agevolazioni che prima o poi finiscono lasciandoli in un mare di difficoltà.

Un’ultima notazione: le elezioni politiche si vincono grazie alla parte di elettorato “libero” da vincoli e pregiudizi. Se ci pensate, almeno il 60-70% dei voti è lo zoccolo duro delle varie consorterie politiche e vota sempre allo stesso modo. Spostare un 5% (e noi siamo ben di più) da una parte o dall’altra significa passare da un’esaltante vittoria a una cocente sconfitta. Cerchiamo di farlo capire ai politici: noi possiamo spostare gli equilibri. Forse così ci considereranno un po’ di più.


Bruno Garcea
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano

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