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LETTERE

Se davvero vogliamo unirci, iniziamo a ragionare su basi comuni

Sabato, 24 ottobre 2015

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Gentile Redazione,
adoro questo giornale perché sa dare, come nessun’altra realtà editoriale che io conosca, ampia risonanza al multicolore scenario delle opinioni dei professionisti.

Nel rispetto dovuto alle idee altrui, devo, tuttavia, prendere atto ancora una volta delle clamorose autoreti segnate da parte di certuni, a danno di tutti noi dottori commercialisti.
Sono classe 1961, iscritto all’Ordine dal 1987 e ho iniziato da zero, come praticante, nel 1985. Sono stato consigliere della locale Unione Giovani per due mandati, uscendone all’età di 32 anni perché non mi sentivo più così “giovane”, come avrebbe voluto la denominazione dell’associazione. Figlio di impiegato statale e di commessa di negozio, mio padre visse una pesante crisi interiore quando rifiutai l’assunzione in banca per affrontare la “follia” della libera professione, a suo dire senza alcuna prospettiva economica.

L’Unione Giovani, la quale dovrebbe per coerenza almeno cambiare nome (a 43 anni di età, qual è il limite per essere ammessi, si può al più essere “Giovanili”), non avendo altri temi sindacali da proporre, continua a rimarcare una inesistente linea di demarcazione tra commercialisti giovani (quali loro non sono, per buona parte) e non più giovani. Nulla è più certo di ciò che non si conosce, di tal che, noi vecchi fortunati, che abbiamo vissuto di tutte le agiatezze dell’età dell’oro, dovremmo prendere lezione da qualche collega vicentino, il quale, umanamente, prima ancora che professionalmente, deve ancora capire cosa sia il rispetto reciproco, fonte primaria della solidarietà e dell’unitarietà che altri vanno giustamente cercando.

Nel corso del mandato (2004-2008) quale delegato alla CNPADC (all’epoca avrei avuto ancora l’età per essere “unionista”) ho assistito con sconcerto alle ideologiche e strumentalizzate prese di posizione come quella oggi (ieri, ndr; si veda “Per contare a livello politico non vanno esclusi i giovani professionisti”) offerta dall’UGDC di Vicenza, di antinomia a quell’altra parte della categoria, la quale, con le usuali e non condivisibili eccezioni, ha sempre tenuto le porte spalancate verso l’interesse comune e unitario, riconoscendo (e ricordando) le difficoltà di chi si affaccia alla professione, così come quelle, innegabili e diverse, di chi più giovane non è.

Se veramente vogliamo iniziare a unirci (prenda atto il “giovane” collega che di questi argomenti se ne parla almeno dagli anni Ottanta – prima non posso saperlo), cominciamo a ragionare su basi comuni a tutti, abolendo l’assunzione di prese di posizione sindacalizzate, il cui unico vero scopo è quello di raccogliere i voti necessari per “imporre” i c.d. giovani ai vertici di Ordini locali, Cassa di previdenza ed Enti di categoria, a discapito del professato intento di unione nella categoria.

Una volta fatta pulizia al nostro interno da dette derive sindacali, potremo chiaramente vedere come il nostro avversario, con il quale dover competere, possa essere facilmente individuato nell’associazionismo tra imprenditori e nel movimento sindacale dei lavoratori. In questi ambienti, eludendo e dribblando i rispettivi limiti statutari, sostenuti in ciò dalla politica della sinistra italiana e legittimati dal sostegno tecnico di taluni di noi, si lavora da lunghi anni per occupare spazi che vorremmo di nostra competenza, ma che tali non sono alla riprova dei fatti: Assonime docet.


Renzo Dugo
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Treviso

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