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OPINIONI

Il costo non sarà più punto di riferimento

La bozza del nuovo OIC 11 prende atto della globalizzazione delle regole contabili

/ Andrea FRADEANI

Martedì, 17 ottobre 2017

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Pubblichiamo l’intervento di Andrea Fradeani, dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Macerata e Camerino, Componente del Tavolo di lavoro società non quotate di XBRL Italia.

Crolla un mito del modello contabile nazionale: il costo storico non sarà più un punto di riferimento per la redazione dei conti annuali e consolidati delle imprese che adottano le disposizioni civilistiche. La bozza del nuovo OIC 11, nell’elencare i postulati da rispettare per redigere un bilancio d’esercizio capace di rappresentare con chiarezza ed in modo veritiero e corretto la situazione aziendale, non fa più alcun riferimento al costo inteso come criterio base delle valutazioni di bilancio dell’impresa in funzionamento.

Si tratta, è vero, di un documento sottoposto a pubblica consultazione (quindi non definitivo) e mancano pure le motivazioni alla base delle decisioni assunte dall’Organismo italiano di contabilità, ma non può trattarsi certo di una dimenticanza.
Lo standard setter sembra aver così preso atto o, meglio ancora, stigmatizzato il compimento di una rivoluzione che ha mutato il tradizionale scenario dell’accounting italiano, grazie all’incorporazione, in alcuni casi del tutto peculiare, di principi e criteri provenienti dalla prassi contabile anglo-americana.

Il fenomeno, causato dal processo di globalizzazione economico/finanziaria e, quindi, dal bisogno di un avvicinamento delle “lingue contabili”, può essere fatto normativamente risalire all’adozione, da parte dell’Unione europea, dei principi contabili internazionali: dall’esercizio 2005, la “Champions League” dei bilanci – ossia i consolidati delle società quotate nei mercati europei – si gioca infatti secondo le regole dello IASB.

Sarebbe però un grave errore pensare che l’accantonamento delle nostre tradizioni contabili, a prescindere dal fatto che ciò sia un bene o un male, sia frutto di un’imposizione europea o di una scelta del nostro standard setter.
Il legislatore italiano, senza che vi fossero obblighi comunitari in tal senso, è intervenuto scientemente e più volte (pensiamo al DLgs. 38/2005 e alle successive modificazioni e integrazioni) per espandere l’ambito di operatività, nel nostro ordinamento, degli IAS/IFRS (non solo con riferimento al consolidato, ma pure ai conti individuali, con tutte le note problematiche fiscali).

Oggi, o meglio dal 2014, qualsiasi società che supera le soglie del bilancio in forma abbreviata può abbandonare le regole civilistiche sul bilancio in favore dei principi contabili internazionali: l’Italia, origine e culla del pensiero contabile, è quindi divenuto uno dei Paesi dove è maggiore – almeno potenzialmente – il ruolo degli IAS/IFRS.
La stessa riforma delle regole civilistiche del DLgs. 139/2015 ha accelerato verso la prassi internazionale.

La previsione non tanto dei nuovi principi di redazione – la rilevanza e la sostanza non sono certo estranei alla nostra cultura contabile – quanto di un costo ammortizzato (e attualizzato) e di un fair value (per la cui implementazione si fa esplicito rinvio agli stessi principi contabili internazionali) rappresenta un ulteriore avvicinamento a “idee diverse” in merito alla misurazione della performance aziendale, che vedono, quale primi stakeholder di riferimento, non più i creditori, bensì gli investitori (anche potenziali).

Del resto la bozza del nuovo OIC 11 contiene, forse sotto traccia, un ulteriore segnale in tal senso: i destinatari primari dell’informazione del bilancio sono ora (si veda il § 32) coloro che forniscono risorse finanziarie all’impresa, ossia gli investitori, i finanziatori e gli altri creditori (gli stessi soggetti, nello stesso ordine, previsti dal Conceptual Framework IASB-FASB).

Otto postulati nel nuovo OIC 11

La bozza del nuovo OIC 11 prevede otto postulati rispetto ai quindici della vigente versione, per un documento che giustamente vuole aggiornare e razionalizzare le fondamenta logiche dei nostri conti civilistici, ma che, nel contempo, ci ricorda inequivocabilmente che non sono più quelle a cui eravamo abituati.
La conseguenza di un processo, che riteniamo irreversibile, dovuto non solo alla globalizzazione, ma forse anche alla nostra incapacità di spiegare (e far valere) quanto di buono c’è nelle tradizioni contabili latine, soprattutto laddove – e non ci riferiamo solo alle piccole imprese – gli stakeholder di riferimento rimarranno ancora banche ed autorità fiscali.

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