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OPINIONI

Giustizia tributaria dimenticata

Le critiche, ormai da tutte le istituzioni, sono doverose affinché si possa prestare la dovuta attenzione al tema e portare avanti i processi di riforma

/ Giorgio INFRANCA e Pietro SEMERARO

Martedì, 10 novembre 2020

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La pandemia ha messo in naftalina il dibattito sui progetti di riforma della giustizia tributaria (già depositati in Parlamento), ma sicuramente non ne ha affievolito o prorogato l’esigenza.

È solo di pochi giorni fa l’ultima “polemica” a mezzo stampa che ha visto protagonista il Presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (Cgpt), Antonio Leone che, con una lettera pubblicata su Il Sole 24 Ore, ha stigmatizzato le posizioni espresse da alcuni colleghi, diffidandoli dal continuare ad additare la giurisdizione tributaria alla stregua della “cenerentola” delle giurisdizioni italiane.

Sul punto, ci sia concessa qualche riflessione.
Nessuno fra i professionisti della giustizia tributaria nega che i giudici tributari siano operosi e di buona volontà, né tantomeno nessuno addossa tutte le inefficienze e le difficoltà che ogni giorno si incontrano nelle aule della giustizia tributaria, in capo ai giudici.

D’altro canto denunziare (in ogni sede possibile) lo stato di abbandono in cui versa la giustizia tributaria è atto dovuto e necessario, affinché gli organi legislativi e governativi possano prestare la dovuta attenzione al tema e portare avanti (finalmente) i tanto agognati processi di riforma, volti a rendere non solo la magistratura tributaria, ma anche le infrastrutture della giustizia tributaria, degne del delicatissimo ruolo che sono chiamate a svolgere.

È di stretta attualità la norma introdotta dal c.d. DL Ristori (DL 137/2020), con la quale il Governo è tornato a occuparsi, in via strettamente emergenziale, di giustizia tributaria, con una disposizione (l’art. 27) che dimostra in modo chiaro ed evidente lo stato di kafkiana decadenza in cui siamo chiamati ogni giorno ad operare.

Finalmente, infatti, almeno stando alla lettura dell’art. 27 comma 1 del DL 137/2020 sembrerebbe che il Governo abbia voluto incentivare le udienze telematiche nel giudizio tributario, autorizzando “lo svolgimento delle udienze pubbliche e camerali e delle camere di consiglio con collegamento da remoto” e prevedendo in alternativa, ma solo “nel caso in cui sia chiesta la discussione e non sia possibile procedere mediante collegamento da remoto”, la trattazione per iscritto, mediante scambio di memorie conclusionali.

Peccato però che, in considerazione dello stato attuale delle Commissioni tributarie, le udienze da remoto siano pressocché impossibili, posto che mancano totalmente le infrastrutture tecnologiche (sebbene piuttosto “basilari”) che le consentirebbero. Il tutto è ancora più grave se si considera che la possibilità di procedere alle udienze da remoto nel rito tributario è stata prevista sin dal 2018 (art. 16 del DL 119/2018) e che sul punto sono già disponibili bozze di decreti ministeriali che indicano le piattaforme tecnologiche da adoperare e pareri del Garante Privacy; decreti e pareri, però, relativi a strumenti tecnici, nei fatti, non implementabili.

A riprova di ciò, basti leggere il decreto n. 25/2020 del 30 ottobre 2020, con cui il Presidente della CTR Lombardia ha dato “attuazione” all’art. 27 del DL 137/2020, citato.
Nel decreto presidenziale si legge, in modo quasi rassegnato che “allo stato, non sussistono le condizioni normative secondarie e le dotazioni tecnologiche necessarie per la regolamentazione delle udienze pubbliche con collegamento da remoto”, rimandando quindi tutti alle udienze “cartolari”.

Ma non è tutto. Con riferimento al diritto all’esonero dalla partecipazione a udienze e camere di consiglio, previsto dall’art. 27 comma 3 del DL 137/2020, per tutti quei giudici che non risiedano nel luogo della Commissione (norma che secondo lo stesso Presidente della C.T. Reg. Lombardia rischia di “paralizzare quasi completamente il funzionamento delle sezioni”), si prevede la possibilità di svolgere le sole camere di consiglio da remoto, consentendo ai giudici che lo volessero, di utilizzare a tal fine anche i locali della C.T. Reg., purché comunque, la connessione da remoto avvenga con mezzi propri, “azionando il Wi-Fi dal proprio cellulare, con oneri a loro carico, essendo sprovvista la CTR del relativo collegamento”.

Su tutte queste circostanze si stanno esprimendo, in modo evidentemente critico, le categorie professionali e persino l’Associazione nazionale magistrati con un documento del 5 novembre scorso ha bollato come “intollerabile” che ad oggi non si riesca ancora ad assicurare alla giustizia tributaria un apparato tecnologico tale da consentire lo svolgimento delle udienze a distanza, circostanza che eliminerebbe a monte ogni polemica sul c.d. contraddittorio cartolare “coatto” introdotto dal DL “Ristori”.

Ed allora, anche a voler tacere dell’improrogabile esigenza di approntare una magistratura tributaria professionale, ben retribuita e davvero specializzata (esigenza, peraltro, condivisa, come ricordato, da tutti i progetti di riforma in discussione), a ritenere la giustizia tributaria una “cenerentola” si fa forse peccato, ma – purtroppo – non si va troppo lontano dal vero.

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