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LAVORO & PREVIDENZA

Diritto di sciopero limitato solo dalla tutela di diritti di pari rango costituzionale

Fuori dai servizi pubblici essenziali, la sua legittimità non dipende da regole procedurali e fondatezza delle finalità, fermo il rispetto dei c.d. limiti esterni

/ Federico ANDREOZZI

Venerdì, 2 maggio 2025

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Con sentenza n. 11347 del 30 aprile 2025, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di diritto di sciopero, ribadendo come, al di fuori dei servizi pubblici essenziali, esso incontri il solo limite della necessità di tutelare altri diritti di pari rango costituzionale, e come la sua legittimità non dipenda da una proclamazione formale né dall’osservanza di regole procedurali, non rilevando neppure la fondatezza e l’importanza delle finalità perseguite.

Nel caso di specie, un lavoratore, addetto allo smaltimento dei rifiuti, veniva licenziato dopo aver partecipato a uno sciopero. A detta della datrice di lavoro, tale astensione collettiva doveva ritenersi illegittima, in quanto promossa in violazione delle norme procedurali previste dal CCNL applicato al rapporto – poiché non preceduta dal tentativo di conciliazione, dal preavviso di 10 giorni e non proclamata per iscritto – e priva di giustificazione.

Di diverso avviso il giudice di merito, che accoglieva il ricorso presentato dal lavoratore dichiarando nullo il licenziamento e specificando come anche l’astensione dal lavoro organizzata spontaneamente dai lavoratori, senza previa proclamazione da parte delle organizzazioni sindacali, potesse definirsi sciopero.
Veniva inoltre accertato come l’esercizio del diritto di sciopero – che si era sostanziato, nel caso di specie, nell’astensione dal lavoro della durata di circa un’ora, posta in essere dal lavoratore unitamente a due colleghi – fosse avvenuto nel rispetto dei c.d. limiti esterni, con modalità tali, cioè, da non integrare illeciti penali o arrecare danni sproporzionati all’azienda.

La società presentava, quindi, ricorso in Cassazione, ribadendo le ragioni poste a sostegno del licenziamento e specificando che il giudice di merito non aveva considerato che il dipendente si era astenuto dal lavoro per finalità meramente personali, anziché per interessi collettivi.

La Suprema Corte, investita della controversia, respinge il ricorso.
In prima battuta i giudici di legittimità escludono che, nel caso di specie, l’astensione dal lavoro si fosse verificata nell’ambito di un’attività qualificata come servizio pubblico essenziale.
La Cassazione, quindi, chiarisce che il diritto di sciopero, attribuito dall’art. 40 Cost. direttamente ai lavoratori, soggiace, da un lato, alle limitazioni che si desumono dalla configurazione stessa dell’istituto – quale astensione dal lavoro di una pluralità di lavoratori a difesa di interessi che siano a essi comuni – e, dall’altro, da quelle che derivano dall’esigenza di salvaguardare interessi che, di volta in volta, trovano protezione in diritti di rango costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 123/62).

Da tali principi si può quindi desumere che, innanzitutto, non si può parlare di sciopero se non in presenza di un’astensione dal lavoro decisa e attuata collettivamente per la tutela di interessi comuni e, inoltre, che devono ritenersi vietate quelle forme di attuazione dell’astensione collettiva che assumono connotazioni delittuose, in quanto lesive dell’incolumità e della libertà delle persone, ovvero dei diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende.

Al contempo, e in conseguenza di ciò, non possono che apparire prive di importanza le eventuali valutazioni circa la fondatezza o la ragionevolezza delle pretese perseguite, nonché i rilievi inerenti alla mancanza sia di una proclamazione formale, sia del preavviso al datore di lavoro, oppure dell’esperimento di tentativi di conciliazione o di interventi dei sindacati.

Inoltre, la circostanza per cui il lo sciopero arrechi un danno al datore di lavoro, impendendo o riducendo la produzione dell’azienda, è strettamente connessa alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero stesso.
Quindi, per quanto attiene ai menzionati limiti esterni, l’esercizio del diritto di sciopero deve ritenersi illecito soltanto nel momento in cui l’astensione si svolga senza apportare gli opportuni accorgimenti e cautele, laddove appaia idonea a pregiudicare irreparabilmente la potenziale produttività dell’azienda, ossia la possibilità per l’imprenditore di continuare a svolgere la sua iniziativa economica.

A fronte di tale assunti, la Cassazione conclude statuendo come, nel caso di specie, l’astensione dal lavoro posta in essere dal lavoratore per la tutela di interessi collettivi di natura salariale, fosse stata decisa e attuata senza conseguenze negative per la datrice di lavoro, in pieno rispetto dei limiti previsti per il legittimo esercizio del diritto di sciopero.

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