ACCEDI
Mercoledì, 9 luglio 2025 - Aggiornato alle 6.00

LAVORO & PREVIDENZA

Legittime le sanzioni amministrative al datore di lavoro per ritenute non versate

La condotta è connotata da un particolare disvalore, che giustifica la gravità della sanzione

/ Federico ANDREOZZI

Mercoledì, 9 luglio 2025

x
STAMPA

download PDF download PDF

Con la sentenza n. 103/2025 pubblicata ieri, la Consulta ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata con riferimento all’art. 3 Cost. – dell’art. 2 comma 1-bis del DL 12 settembre 1983 n. 463, così come modificato dall’art. 23 comma 1 del DL 48/2023, in forza del quale il datore di lavoro che omette di versare le ritenute previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, entro la soglia di 10.000 euro annui, è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso.

Va premesso, in prima battuta, che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1-bis del DL 463/83, nella formulazione antecedente alla modifica intervenuta nel 2023 per mezzo dell’art. 23 comma 1 del DL 48/2023, era già stata sottoposta al vaglio della Consulta (si veda “Sanzioni amministrative INPS sotto soglia di nuovo al vaglio della Consulta” del 31 marzo 2023). In tale occasione la Corte, preso atto dell’intervento operato medio tempore dal legislatore, aveva restituito gli atti al giudice a quo, affinché operasse una rivalutazione alla luce delle intervenute modifiche normative (Corte Cost. n. 199/2023).

Il Tribunale di Brescia, tuttavia, con ordinanza del 14 agosto 2024, aveva rilevato come la misura elevata del minimo edittale rendesse sproporzionata la sanzione rispetto alla gravità dell’illecito, soprattutto per i casi in cui l’entità delle ritenute fosse, di fatto, modesta e dipendesse da circostanze esterne, rispetto alle quali non sempre poteva incidere la condotta dell’autore.
Inoltre, il giudice bresciano aveva evidenziato, tra le altre cose, l’irragionevolezza della scelta sanzionatoria, desumibile dal fatto che essa determinasse un trattamento più afflittivo di quello previsto per l’ipotesi, costituente reato, in cui l’omesso versamento fosse superiore a 10.000 euro. In questo caso, infatti, il reato è punito con la pena della reclusione fino a tre anni e con una multa fino a 1.032 euro; tuttavia, convertendo la pena detentiva in pecuniaria, il trasgressore sarebbe soggetto al pagamento di un importo inferiore a quello previsto dalla sanzione amministrativa in esame.

Investita della questione di legittimità costituzionale, la Consulta ha sottolineato, in primo luogo, l’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nel determinare le pene applicabili a chi abbia commesso reati, discrezionalità che può estendersi al campo delle sanzioni amministrative. Nel caso di specie, sottolinea la Corte, la misura della sanzione di cui all’art. 2 comma 1-bis del DL 463/83 – “quantunque significativa” – non è tale da far ritenere arbitraria o irragionevole la scelta del legislatore.

L’illecito determina un rischio di pregiudizio del lavoro e dei lavoratori

A ben vedere, la condotta sanzionata è caratterizzata da un particolare disvalore, in quanto l’omesso versamento delle ritenute da parte del datore di lavoro si sostanzia nella distrazione di somme delle quali lo stesso ha la disponibilità, benché facciano già parte della retribuzione del lavoratore e siano destinate all’erogazione di prestazioni essenziali e attinenti a beni irrinunciabili. Tale illecito, ribadisce con forza la Corte, “determina un rischio di pregiudizio del lavoro e dei lavoratori, la cui tutela è assicurata da un complesso di disposizioni costituzionali contenute nei principi fondamentali e nella parte I della Costituzione” (cfr. Corte Cost. n. 139/2014).
La sanzione, quindi, deve ritenersi giustificata, in quanto commisurata al rango del bene protetto dalla norma.

La Consulta non manca poi di rilevare che non si pone alcun dubbio di sproporzione nell’ipotesi prospettata dal giudice a quo, in cui l’omesso versamento sia dipeso da circostanze esterne sulle quali non sempre può incidere la condotta dell’autore: laddove sussistenti, tali circostanze non rileverebbero infatti ai fini della graduazione della sanzione ma, tutt’al più, chiarisce lapidariamente la Corte, varrebbero a escludere la responsabilità, posto che l’illecito può essere escluso nel caso in cui manchi l’elemento soggettivo.

Infine, la Corte scioglie anche il dubbio concernente la prospettata irragionevolezza rispetto alla comparazione della responsabilità in questione con quella conseguente a violazioni che superano la soglia di rilevanza penale. Infatti, conclude la Consulta, il raffronto operato dal rimettente sarebbe puramente aritmetico, non considerando, cioè, le diversità, strutturali e di contenuto, che sussistono fra responsabilità penale e amministrativa.

TORNA SU