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L’accertamento di operazioni illecite tracciabili non salva dall’autoriciclaggio

Anche depositare in banca somme illecite rende difficile l’accertamento della provenienza del denaro

/ Stefano COMELLINI

Giovedì, 10 luglio 2025

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La sussistenza del reato di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) deve essere esclusa solo se l’autore del delitto presupposto utilizzi o goda dei beni proventi dello stesso in modo diretto, senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza illecita.

Questa prospettazione della fattispecie, di agevole lettura nella sua sintesi, necessita tuttavia dell’attenta disamina che le ha dedicato la Cassazione con la sentenza n. 25348 depositata ieri.

In via preliminare, sembra utile ricordare che la condotta tipica del reato di autoriciclaggio consiste nell’impiegare, sostituire, trasferire, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione del reato presupposto (delitto, anche colposo, o contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi). 

Due elementi delimitano la rilevanza penale del fatto: le condotte devono essere idonee a ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza da reato del loro oggetto; i beni devono essere tassativamente destinati ad attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.

La ratio dell’incriminazione si fonda sull’esigenza di impedire che l’autore del reato presupposto possa liberamente disporre del profitto illecito, sottraendolo ad ogni forma di controllo, reinserendo tali proventi nel circuito economico legale attraverso modalità che aggravano l’offensività della condotta esponendo a concreto pericolo l’integrità e il corretto funzionamento dell’ordine economico.

In tale prospettiva, deve escludersi che per l’integrazione del reato di autoriciclaggio rilevi l’effettivo conseguimento di un utile, in quanto il primo comma dell’art. 648-ter.1 c.p. incrimina, non solo la condotta di sostituzione, ma anche quella più ampia di mero “impiego” dei proventi delittuosi in attività idonee, per la loro natura e modalità di esecuzione, ad ostacolare in concreto l’identificazione della loro origine illecita.

Tema principale sollevato dal ricorrente, e di conseguenza ampiamente affrontato dalla Corte, è nel valore che si deve attribuire alla piena tracciabilità delle operazioni bancarie, quale elemento di inidoneità delle condotte ad integrare il reato.

Sul punto, la Suprema Corte ha ribadito, per un condiviso orientamento di legittimità, che ai fini dell’integrazione del reato in esame non occorre che l’agente ponga in essere una condotta che comporti un assoluto impedimento all’identificazione della provenienza delittuosa di denaro o beni, essendo al contrario sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza; e questo anche attraverso operazioni o flussi finanziari che risultino pienamente tracciabili (Cass. n. 36121/2019).

Pertanto, l’accertamento delle operazioni di dissimulazione del denaro o del bene illecito da parte degli inquirenti non esclude la punibilità della condotta perché priva di concreta capacità decettiva. Se così fosse, argomenta la Cassazione, si finirebbe per escludere la rilevanza di qualsiasi condotta per il solo fatto della sua successiva verificazione e ricostruzione, con l’irragionevole conseguenza dell’inapplicabilità dell’art. 648-ter.1 c.p.

Con particolare riferimento alle operazioni bancarie, rientra tra le condotte idonee a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro anche l’operazione di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito, in virtù dell’obbligo per la banca di restituzione del tantundem (Cass. n. 10939/2024).

Pertanto, il criterio da seguire per l’individuazione della condotta decettiva è quello della idoneità ex ante – sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione – ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell’illecito a seguito degli accertamenti compiuti, anche grazie alla tracciabilità delle operazioni, determini automaticamente una condizione di inidoneità dell’azione.

Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata, a fronte delle plurime e articolate movimentazioni finanziarie poste in essere dal ricorrente, connotate dal fine di profitto e realizzate con l’impiego di fondi illeciti nell’acquisto di titoli azionari, poi trasferiti ad altro istituto di credito, con successivo utilizzo dei proventi di tali operazioni in compravendite immobiliari.

Condotte contraddistinte da una “destinazione speculativa”, espressione che il legislatore intenzionalmente ha lasciato priva di una definizione rigidamente tipizzata che ricomprende una vasta gamma di comportamenti accomunati dalla volontà di conseguire un profitto secondo una logica costi/benefici, tale da determinare un’alterazione del normale funzionamento del mercato e un’infiltrazione dell’economia legale attraverso la pulitura di capitali dei quali il reo vuole rendere irriconoscibile la provenienza delittuosa.

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