Dubbia la correzione di errori contabili sui componenti reddituali «periodici»
La circolare n. 16/2025 di Assonime pone interessanti interrogativi sui contenuti dei pochi documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate
Il tema dei risvolti fiscali della correzione degli errori contabili riveste grande attualità atteso che – de iure condendo – rientra negli obiettivi della riforma fiscale “semplificare e razionalizzare i criteri di determinazione del reddito d’impresa al fine di ridurre gli adempimenti amministrativi” attraverso il “rafforzamento del processo di avvicinamento dei valori fiscali a quelli civilistici”, soprattutto per i “soggetti che sottopongono il proprio bilancio di esercizio a revisione legale dei conti ovvero sono in possesso di apposite certificazioni, rilasciate da professionisti qualificati, che attestano la correttezza degli imponibili dichiarati” (si veda l’art. 9 comma 1 lett. c) della L. 111/2023).
Ragionando invece de iure condito, l’intervento normativo operato nel 2022 – che, per i soli soggetti con bilancio revisionato, assegna rilevanza fiscale ai criteri di imputazione temporale relativi alle “poste contabilizzate a seguito del processo di correzione degli errori contabili” (art. 83 comma 1 del TUIR) – attende ancora fondamentali chiarimenti ufficiali.
È quanto segnala Assonime nella circolare n. 16/2025 in cui analizza criticamente le risposte a interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 63/2025, relativa a un bene strumentale interamente spesato e poi ammortizzato in sede di correzione, e n. 73/2024, riferita alla erronea imputazione di canoni di leasing.
In tali risposte il Fisco sembra chiarire come l’ambito oggettivo di applicazione della disposizione del citato art. 83 abbracci tutti gli errori contabili, sia incidenti sulla mera imputazione di componenti reddituali sia scaturenti dall’erronea qualificazione dei fatti aziendali e classificazione delle relative poste contabili.
La questione più spinosa, sulla quale Assonime rappresenta una diversa logica interpretativa, riguarda la rilevanza fiscale di elementi reddituali “periodici” (quali proprio ammortamenti e canoni di locazione, nonché oneri finanziari) per i quali le norme fiscali regolano la rilevanza (deduzione) fiscale per singolo periodo d’imposta, laddove, proprio per effetto della correzione, vengono invece a cumularsi nel medesimo bilancio componenti che, in assenza di errori, sarebbero stati rilevati in distinti esercizi: ad esempio, si pensi agli ammortamenti non correttamente rilevati nell’esercizio n e poi imputati, cumulativamente a quelli di periodo, nell’esercizio n+1.
Assonime, valorizzando il concetto di “competenza allargata”, ritiene preferibile – anche per esigenze di semplificazione – assoggettare l’intero componente “cumulato” alla disciplina fiscale prevista per i singoli componenti di periodo (nell’esempio, l’ammortamento cumulato sarebbe soggetto ai limiti dei coefficienti tabellari di periodo), piuttosto che, come argomenta l’Agenzia, assegnare alla posta di correzione autonoma valenza in modo da ripristinare “un analogo trattamento fiscale a quello che si sarebbe determinato in assenza dell’errore” (l’ammortamento rilevato in sede di correzione sarebbe ex se assoggettato ai previsti limiti di deducibilità separatamente dall’ammortamento di periodo).
Secondo l’Amministrazione finanziaria, in particolare, la deduzione del costo nel periodo in cui avviene la correzione non può avere luogo “per un importo maggiore di quello «cristallizzato» nel singolo periodo d’imposta interessato dall’errore contabile qualora detto errore non fosse stato commesso”.
Senonché, come evidenziato anche da Assonime, tale criterio viene stemperato – nella risposta n. 73/2024 – con riferimento agli oneri finanziari impliciti nei canoni di leasing, che sono considerati deducibili ai sensi dell’art. 96 del TUIR “sulla base degli interessi attivi e dei proventi assimilati … disponibili nel periodo d’imposta in cui gli errori contabili in esame vengono corretti” e, quindi, nel loro importo cumulato, alla stregua dei medesimi componenti di periodo.
Il criterio è poi confermato laddove l’Agenzia precisa che “anche i componenti reddituali rilevanti … a seguito della correzione degli errori contabili concorreranno … a determinare il ROL”.
È evidente, in conclusione, la necessità di uno sforzo interpretativo finalizzato a contemperare due esigenze palesemente divergenti:
- da un lato, assicurare per quanto possibile (e limitando le interpretazioni case by case) la “neutralità” della procedura di correzione in parola – valida per i soggetti “revisionati” – rispetto a quella tradizionalmente costruita (in via generale) sulla presentazione di dichiarazioni integrative (nell’idea, fatta propria dall’Agenzia, di riprodurre pedissequamente il medesimo imponibile che si sarebbe avuto in assenza di errori, ma subendo il rischio di generare onerosi adempimenti);
- dall’altro lato, semplificare, come suggerisce Assonime, il processo di determinazione delle basi imponibili omologando la procedura in esame, tenendo conto che la ricerca della cennata invarianza della base imponibile può diventare macchinosa e complicata (e accettando il disvalore “etico” di generare trattamenti fiscali differenziati – tra soggetti revisionati e non – su fattispecie simili).
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