Assegno unico dentro la liquidazione controllata del sovraindebitato
Nonostante la sua impignorabilità, è un’entrata effettiva e costante, che concorre alla copertura del fabbisogno familiare
Il combinato disposto delle motivazioni contenute in due recenti sentenze di apertura di due procedure di liquidazione controllata del sovraindebitato ex artt. 268 ss. del DLgs. 14/2019 pronunciate dal Tribunale di Torino il 22 maggio 2025 e il 3 giugno 2025 ha il pregio, ad avviso di chi scrive, di implementare ulteriormente il prezioso – e, peraltro, oramai sempre più articolato – bagaglio interpretativo sin d’ora realizzato, ma comunque ancor e sempre in divenire, intorno alle disposizioni dedicate dal Codice della crisi alla procedura liquidatoria minore, la quale, come testé anticipato, risulta disciplinata dagli artt. 268 ss. del DLgs. 14/2019, nella sua vigente ed attuale versione risultante dalle modifiche, da ultimo, apportate dal DLgs. 136/2024.
Le sentenze in commento si soffermano, ancora e in particolare, sull’individuazione dei “beni” del debitore che, una volta aperta la procedura, risulterebbero compresi nella liquidazione controllata del sovraindebitato.
Trattasi, senza dubbio, di una individuazione, nella fattispecie, sol esemplificativa, legata ovviamente al particolare caso concreto portato all’attenzione del giudicante, ma, in ogni caso, certamente inedita, prendendo in considerazione una casistica sino ad ora non così di frequente affrontata dalla giurisprudenza di merito o di legittimità in linea di principio generale.
In primo luogo, il Tribunale di Torino si è interrogato sul riconoscimento o meno della natura di bene da mettere a disposizione del ceto creditorio nella misura eccedente al fabbisogno familiare giudizialmente determinato in capo all’assegno unico percepito dal debitore. Sul punto, la sentenza pronunciata il 3 giugno 2025 ha precisato come, nonostante la sua impignorabilità, “l’assegno unico sia”, comunque, “un’entrata effettiva e costante, che concorre – come del resto i redditi e le altre entrate mensili di tutti gli altri componenti del nucleo familiare in età lavorativa – alla copertura del fabbisogno familiare, nel quale è calcolato per differenza il reddito lavorativo disponibile, che il debitore ricorrente ha la possibilità e quindi l’obbligo di mettere a disposizione dei creditori”.
In secondo luogo, il Tribunale di Torino, sempre nella medesima sentenza, ha altresì precisato un ulteriore aspetto, forse ovvio, ma comunque dibattuto e sovente non integralmente percepito nel contesto delle procedure che qui ci occupano: nello specifico, la pronuncia si è soffermata sulla sorte della tredicesima mensilità e di ogni altra mensilità di retribuzione corrisposta al debitore, con forza affermando come, trattandosi di voce retributiva compresa nell’alveo di cui all’art. 268 comma 4 lett. b) del DLgs. 14/2019, la stessa debba essere indubbiamente messa a disposizione del ceto creditorio de facto integralmente ove le spese necessarie al sostentamento familiare fossero state computate e ripartite sui dodici mesi dell’anno solare.
Il Tribunale di Torino, in terzo luogo, ha altresì arricchito il dibattito intorno alla vexata quaestio relativa alla liquidabilità del TFR del debitore, riaffermando preliminarmente quanto già espresso nella precedente pronuncia resa il 22 aprile 2025 (ovverosia, la sua liquidabilità, nella misura determinata dal giudice, sol ove lo stesso divenga di fatto esigibile al verificarsi delle condizioni previste dalla legge), ma operativamente e utilmente precisando come, in tal guisa, il liquidatore sia tenuto a notificare “la sentenza per estratto al datore di lavoro, se possibile a mezzo PEC, e deposita[re] copia della notifica nel fascicolo telematico, al fine di rendere noto al datore di lavoro il vincolo sulle somme dovute a titolo di TFR e che il debitore, con l’apertura della liquidazione controllata, ha perduto la facoltà di riscuoterlo personalmente o di chiedere anticipazioni, senza il consenso del Liquidatore, debitamente autorizzato dal Giudice”.
Da ultimo, il Tribunale di Torino, in questo caso nella sentenza pronunciata il 22 maggio 2025, ha altresì affrontato l’ipotesi della liquidazione di un bene immobile, detenuto in comproprietà dal debitore unitamente al coniuge: in tal caso, rilevata l’assenza del coniuge del ricorrente di una adeguata capacità reddituale per rilevare la quota del marito e così accollarsi il mutuo ipotecario e onde evitare di porre in liquidazione la sola quota (il che, in caso di presumibile invendibilità, avrebbe condotto all’instaurazione di un giudizio di divisione, a cura del liquidatore, con evidente aggravio di costi per la procedura), il Collegio ha preso atto, senza in tal senso sollevare rilievi, della dichiarazione resa dalla moglie separata del ricorrente e acquisita dal gestore della crisi di “disponibilità a cedere congiuntamente con il marito il proprio 50% dell’immobile”.
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