Il titolare del vecchio blocchetto fatture risponde della falsa compilazione dell’utilizzatore
Determinante la consapevolezza del fatto di mettere a disposizione uno strumento di evasione
Nell’ipotesi in cui la fattura oggettivamente falsa venga redatta dall’utilizzatore della stessa in dichiarazione ci si può chiedere se venga in rilievo l’art. 8 del DLgs. 74/2000 (emissione di fatture false) o l’art. 3 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici). Il tema è affrontato dalla sentenza n. 29950/2025 della Cassazione.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 8 del DLgs. 74/2000, è punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o dell’IVA, “emetta” o rilasci fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (la pena è della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d’imposta, dovesse essere inferiore a 100.000 euro).
La pluralità di fatture false nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.
L’art. 3 del DLgs. 74/2000, invece, punisce con la reclusione da tre a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’Amministrazione finanziaria, “indichi” in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi.
Nel caso giunto all’esame della Suprema Corte risultava accertato che un soggetto, titolare del “vecchio” blocchetto delle fatture per la propria ditta individuale, aveva consegnato lo stesso a colui il quale, dopo averne compilate alcune, indicando falsamente prestazione e prezzo, le utilizzava in dichiarazione. I giudici di merito, sia in primo grado che in appello, hanno ravvisato la responsabilità penale ex art. 8 del DLgs. 74/2000 in capo al soggetto titolare del blocchetto. Nel ricorso per Cassazione l’imputato contestava sia tale soluzione – ritenendo ravvisabile, nel caso di specie, la fattispecie di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000 in capo all’utilizzatore delle fatture false – sia la configurabilità del richiesto dolo specifico di evasione.
La Suprema Corte, nel condividere le decisioni dei giudici di merito, osserva come l’art. 8 del DLgs. 74/2000 punisca chi “emetta” il documento fattura. La norma, quindi, presuppone che il documento “fattura” venga emesso da un soggetto giuridico (persona fisica o giuridica) che costituisce il centro di imputazione della prestazione indicata (anche se oggettivamente inesistente) per consentire a “terzi” l’evasione.
Sia quando la fattura falsa viene materialmente predisposta da chi dovrebbe emetterla, sia quando venga predisposta, per conto di questo, dal soggetto che la utilizza, è il soggetto formalmente emittente a rispondere del reato di cui all’art. 8 del DLgs. 74/2000. La fattura, infatti, resta comunque riferibile al soggetto che formalmente l’ha emessa, anche se materialmente compilata dall’utilizzatore (al quale, nella specie, l’imputato aveva consegnato il blocchetto fatture).
In altri termini, la Cassazione sembra dire che con la consapevole consegna del blocchetto delle fatture al successivo utilizzatore, si concretizza l’emissione delle fatture da parte del titolare della ditta individuale, anche se materialmente compilate, nei dati falsi, dall’utilizzatore che poi ne aveva fatto uso per far risultare costi fittizi nella sua dichiarazione.
Di conseguenza, il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 del DLgs. 74/2000) è integrato dal titolare del blocchetto delle fatture a fronte della materiale consegna di questo e del successivo riempimento; ciò in quanto il documento fattura, compilato dal terzo, era certamente riferibile alla ditta individuale del medesimo quale documento fiscale.
Si tratta, di riflesso, di una condotta che non può essere collocata nell’alveo del diverso reato dichiarativo di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000, non ricorrendone i presupposti normativi.
La decisione in commento ha, infine, precisato che l’evasione d’imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture false, ma caratterizza il dolo specifico richiesto per la punibilità dell’agente. È, infatti, necessario (e sufficiente) che l’emittente delle fatture si proponga il fine di “consentire” a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o dell’IVA, ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento (cfr. Cass. n. 42819/2024).
In particolare, il fine di “perseguire” un risultato, dal punto di vista psicologico, può essere integrato dalla consapevolezza, da parte del soggetto agente, della obiettiva direzione e dalla concreta idoneità della sua condotta a realizzare detto risultato come conseguenza certa o comunque altamente probabile della stessa, e dalla volontà, ciononostante, di porre in essere tale condotta. Il fine di “consentire” l’evasione a terzi, invece, proprio dal punto di vista linguistico, può essere identificato anche nel fine di “permettere” l’evasione a terzi, ossia nel fine di mettere a disposizione degli stessi uno strumento (le fatture per operazioni inesistenti) utile a realizzare l’evasione.
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