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OPINIONI

Mancanza di appeal per il concordato preventivo biennale

Da un sondaggio dell’UNGDCEC emerge che, su un campione di circa 1.500 risposte, l’80% dei commercialisti prevede un’adesione inferiore al 10%

/ Serena GIANNUZZI e Sebastiano ZANETTE

Martedì, 29 ottobre 2024

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Pubblichiamo l’intervento di Serena Giannuzzi e Sebastiano Zanette, Giunta UNGDCEC.

In prossimità della scadenza, rieccoci a parlare di concordato preventivo biennale.

Vista la resistenza del Governo sulla concessione della proroga, richiesta a gran voce da tutti gli operatori, abbiamo invitato i nostri iscritti a partecipare a un breve sondaggio, con l’obiettivo di stimare il possibile tasso di adesione al nuovo istituto e comprendere meglio le opinioni di chi, da mesi, è alle prese con il nuovo strumento.
Dai risultati, che confermano le nostre previsioni ma restano di grande rilevanza per chi attendeva questi dati, emerge che, su un campione di circa 1.500 risposte, l’80% dei Colleghi prevede un tasso di adesione tra i propri clienti inferiore al 10%.

La mancanza di appeal della misura non ci sorprende, riflettendo di fatto le esperienze comuni nei nostri studi. Tra le motivazioni principali che spingono la – scarsa – platea ad aderire, il 90% degli intervistati ha riportato che la scelta dell’adesione risiede nella previsione di un risparmio fiscale rispetto alla tassazione ordinaria, mentre solo poco più del 10% vi aderisce per poter accedere alla sanatoria.
È inutile pertanto sottolineare che l’adesione in virtù di una presumibile, se non certa, convenienza economica comporterà probabilmente una perdita di gettito per l’Erario.

Negli ultimi mesi abbiamo segnalato diverse criticità legate al concordato preventivo biennale: la norma, accolta con scetticismo anche dagli esperti, è stata più volte modificata e integrata. La tanto attesa circolare esplicativa, strumento che avrebbe dovuto chiarire i dubbi agli addetti ai lavori, è stata intempestiva e si è rivelata, peraltro, non esaustiva; la stessa Agenzia delle Entrate infatti continua a pubblicare numerose FAQ e “chiarimenti” che ci hanno costretto, nelle ultime settimane, a rivalutare caso per caso le posizioni dei clienti, essendo significativamente mutati gli scenari.

Queste variazioni sostanziali hanno ripetutamente complicato le cose, tanto da scatenare proteste anche da parte delle software house, che hanno dovuto adattare continuamente i loro programmi; gli stessi sistemi informatici dell’Agenzia delle Entrate sono stati messi a dura prova, generando disservizi quali, per citarne alcuni, difficoltà di accesso al cassetto fiscale ed errori nei dati proposti per la sanatoria.

Nonostante queste criticità condivise, la decisione è stata quella di non rinviare la scadenza, e riteniamo che anche questo abbia portato ai risultati sopra descritti. Il CPB poteva rappresentare una reale opportunità per migliorare il rapporto tra Fisco e contribuente; tuttavia, nonostante i mesi trascorsi dalla sua introduzione, l’approccio adottato dal Governo e l’instabilità del quadro normativo non hanno reso possibile una valutazione accurata dello strumento.

Il CPB poteva essere l’occasione per un nuovo rapporto di fiducia col Fisco

Non stupisce quindi osservare, data l’assenza di proroghe governative e la situazione di incertezza normativa che ancora regna sovrana, che quasi nessuno ha mostrato interesse a utilizzare il CPB per instaurare un nuovo rapporto di fiducia con il Fisco, obiettivo principale dell’istituto, che evidentemente non è stato raggiunto.

Ancora una volta, peraltro, segnaliamo una violazione dello Statuto del contribuente, in particolare dell’art. 3, che prevede un termine di almeno 60 giorni per l’entrata in vigore delle norme, garantendo così il tempo tecnico per una corretta applicazione delle stesse. Questa è una norma che contiene un principio fondamentale che il Governo dovrebbe rispettare senza deroghe e, se davvero intendiamo migliorare il rapporto tra Stato e contribuente, dobbiamo partire necessariamente da qui. Una proroga avrebbe potuto attenuare, anche se non eliminare del tutto, il disagio dei contribuenti e dei commercialisti, ma è stata negata per motivi, asseritamente oggettivi, legati alla legge di bilancio. Tuttavia, queste ragioni erano note fin dall’inizio, e sarebbe stato possibile, nonché doveroso, definire un quadro normativo completo entro il 1° settembre, così da concedere almeno 60 giorni per l’applicazione.

È altresì evidente che un confronto costruttivo con la nostra Categoria, anche dopo le ultime modifiche, avrebbe portato probabilmente a valutazioni diverse in ordine alla proroga; si sarebbe infatti dovuto tener conto del fatto che la contrazione dei tempi a disposizione per professionisti e contribuenti per valutare lo strumento avrebbe inciso sul tasso di adesione, portando di fatto a un probabile insuccesso della misura, condizione che avevamo già ampiamente preventivato e che, se confermata, trova riscontro anche dalla nostra indagine.
Ancora una volta, ci duole dire che non è accettabile che le “ragioni di Stato”, pur comprensibili, pesino sempre e solo su contribuenti e commercialisti.

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