IVA dovuta dall’intermediario nei contratti di mandato
La Corte di Giustizia si è pronunciata sulle condizioni per la spendita del nome per transazioni on line
La Corte di Giustizia Ue, con la sentenza di ieri, relativa alla causa C-101/24, si è espressa in merito alla corretta individuazione del soggetto passivo IVA nel caso di vendite effettuate on line, mediante una piattaforma digitale (c.d. “app store”). Seppur riferita ai servizi elettronici, i cui criteri di territorialità IVA sono mutati rispetto all’epoca dei fatti (ante 2015), la sentenza fornisce indicazioni utili per le vendite effettuate in forza di un contratto di mandato senza rappresentanza (nonostante nella sentenza di parli di “commissione”).
Il caso esaminato concerne una società tedesca che sviluppa app e le rivende mediante una piattaforma digitale per i software (“app store”), gestita da una società con sede in Irlanda, la quale trattiene la propria commissione per ciascuna vendita effettuata.
In particolare, a essere venduta è una app consistente in un gioco per dispositivi mobili. I consumatori finali possono ottenere migliorie della app, effettuando i pagamenti mediante “app store”.
Soltanto dopo l’acquisto, il cliente finale riceve una conferma d’ordine via email, da parte della società irlandese che gestisce la piattaforma, in cui è specificato che l’acquisto è stato effettuato presso la società tedesca sviluppatrice del gioco.
Mentre in una prima fase la società tedesca aveva applicato l’IVA del proprio Stato, in quanto luogo di stabilimento del prestatore (in cui, all’epoca, era territorialmente rilevante la prestazione), successivamente aveva ridotto la base imponibile delle operazioni, sostenendo che, in forza del contratto di mandato stipulato con la società irlandese, era quest’ultima a essere intervenuta in qualità di prestatore dei servizi verso i clienti finali (di conseguenza, si sarebbe dovuta applicare l’IVA irlandese).
La questione, sottoposta prima ai giudici tedeschi e poi alla Corte di Giustizia Ue, verteva sul ruolo svolto dalla società irlandese, ossia se essa era qualificabile come un mero intermediario “trasparente” ovvero se agiva in nome proprio nell’effettuare gli acquisti su “app store”, sebbene per conto del fornitore tedesco.
L’art. 28 della direttiva 2006/112/Ce stabilisce, infatti, che, “qualora un soggetto passivo che agisca in nome proprio ma per conto terzi partecipi ad una prestazione di servizi, si ritiene che egli abbia ricevuto o fornito tali servizi a titolo personale”.
Nell’esaminare la questione, la Corte di Giustizia Ue si esprime sulla natura delle disposizioni dell’art. 28 della direttiva 2006/112/Ce, applicabili quando un soggetto agisce in nome proprio ma per conto di terzi.
La norma citata consiste in una fictio iuris riferita a “due prestazioni di servizi identiche fornite consecutivamente”, tale per cui si ritiene che il mandatario, in primo luogo, “abbia ricevuto i servizi in questione dall’operatore per conto del quale agisce” (cioè il mandante) e, in secondo luogo, “abbia fornito personalmente tali servizi a un cliente”.
Fermo restando che la valutazione è demandata al giudice nazionale, in base a tutti gli elementi del caso di specie e in ragione degli obblighi contrattuali che il mandatario ha definito con i suoi clienti, i giudici unionali osservano che l’applicabilità dell’art. 28 in parola non può essere esclusa per il semplice fatto che i clienti finali sono a conoscenza dell’esistenza di un rapporto di mandato e dell’identità del mandante (nonostante la complessità delle vendite online).
In sostanza, il soggetto passivo che rende la prestazione può corrispondere anche all’intermediario (mandatario), se sono soddisfatte le condizioni sostanziali di applicabilità dell’art. 28 della direttiva 2006/112/Ce. Non può essere escluso il ruolo dell’intermediario per il semplice fatto che le conferme d’ordine fornite ai clienti finali designano il primo fornitore quale soggetto passivo e in tali documenti è riportata l’aliquota IVA dello Stato di tale ultimo soggetto.
Inoltre, la Corte di Giustizia Ue osserva che la determinazione del luogo di territorialità IVA delle prestazioni di servizi non muta laddove si applichi la fictio iuris di cui all’art. 28 in argomento, vale a dire laddove si ritenga che un soggetto passivo abbia ricevuto la prestazione da un altro soggetto passivo.
Nel caso delle prestazioni B2B, pertanto, permane il luogo di stabilimento del committente, in conformità con l’art. 44 della direttiva 2006/112/Ce.
In ultimo, i giudici unionali si esprimono sugli obblighi di debenza dell’imposta, ai sensi dell’art. 203 della direttiva, secondo cui “l’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura”. La ratio della disposizione è quella di eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare dall’esercizio del diritto a detrazione, previsto nella medesima direttiva.
Nel caso di specie, secondo la Corte Ue, il richiamato art. 203 non trova applicazione, poiché le prestazioni di servizi sono rese nei confronti di consumatori finali, i quali non beneficiano del diritto alla detrazione dell’imposta. Anche ai fini della determinazione del debitore d’imposta, risulta irrilevante il fatto che per le conferme d’ordine (che non hanno il carattere di una fattura) sia stato designato come soggetto passivo il mandante della prestazione.
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