Serve davvero costringere gli amministratori ad avere una PEC personale?
Gentile Redazione,
so già in partenza che queste osservazioni rimarranno “parole al vento”, però faccio fatica a tenerle per me.
Come segnalato su questo quotidiano (si veda “Al Registro delle imprese una PEC personale per ciascun amministratore” del 13 marzo), e nonostante l’apertura di alcune Camere di commercio a consentire che gli amministratori potessero domiciliarsi presso la PEC della società, il MEF ha stabilito che ogni amministratore debba dotarsi autonomamente di una PEC.
Lo scopo, immaginiamo, è di agevolare la P.A. in genere a comunicare i suoi provvedimenti direttamente agli amministratori.
Tuttavia questo ennesimo obbligo associato al rifiuto di accettare la domiciliazione presso la PEC societaria non solo non porta beneficio alcuno alla P.A. o ai terzi, non solo porta significativi aggravi per gli amministratori, sia di costi che di tempo e di rischi, ma potrebbe persino creare danni alla stessa P.A.
I costi e i danni sono evidenti. Pensiamo ad esempio agli amministratori senza deleghe, magari non residenti in Italia. Costoro sarebbero obbligati a dotarsi di una PEC italiana (sì, perché ancora la PEC europea o mondiale non esiste) e avrebbero l’obbligo di monitorarla quotidianamente. E non è nemmeno scontato che possano farlo facilmente con i sistemi di posta elettronica del loro Paese.
Quanto tempo si perderebbe ad accedere, ogni giorno (sì, perché alcune comunicazioni producono effetti a brevissimo termine...) al sistema PEC italiano per verificare se ci sono comunicazioni? E quali rischi si assume l’amministratore se, per qualsiasi incomprensibile ragione per i normali (ma comprensibile per gli esperti di IT), si verifichi un errore qualsiasi e non si accorge che la sua PEC in realtà non funziona?
Qual è il messaggio concreto che questi signori, che di solito sono anche quelli che decidono di effettuare o mantenere investimenti in Italia, ricevono da questi obblighi?
Perché non consentire loro di optare per una domiciliazione presso la PEC societaria, che quella sì, verrebbe monitorata quotidianamente, essendo già prevista da tempo?
Quanto alle conseguenze negative anche per la P.A. è presto detto.
Mentre la PEC societaria dura tanto quanto la società stessa, gli amministratori hanno durata in carica periodica – per le spa non più di tre anni.
Se pensiamo al caso degli accertamenti, che vengono normalmente notificati anni dopo gli esercizi oggetto di verifica, è molto probabile che l’amministratore dell’epoca non sia più tale e quindi abbia cancellato la PEC.
Se il funzionario, sbagliandosi, invia l’atto alla PEC non più esistente, finisce per omettere la notifica e compromettere l’attività di accertamento.
Se invece l’amministratore si fosse domiciliato presso la PEC societaria, la notifica resterebbe valida.
Sono pronto a scommettere che questa assurda, immotivata e controproducente posizione assunta dal MEF riempirà le aule di udienza della Corte di Cassazione...
Prego quindi il MEF di rivedere urgentemente la sua posizione adottando il ragionevole approccio inizialmente assunto dagli enti camerali, consentendo la domiciliazione presso la PEC societaria.
Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano
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