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FISCO

Niente preclusione probatoria per i documenti consegnati ad altro Ufficio

In caso di mancata collaborazione da parte dell’Amministrazione il giudice può trarne argomenti di prova

/ Alice BOANO

Martedì, 20 maggio 2025

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Opera, nel contenzioso tributario, un principio generale in base al quale al contribuente non possono essere richieste informazioni e documenti che risultino già in possesso dell’Amministrazione.

Nel caso si renda necessaria l’acquisizione, l’art. 6 comma 4 dello Statuto dei diritti del contribuente impone che tali dati debbano essere acquisiti ai sensi dell’art. 18 commi 2 e 3 della legge n. 241/90 (legge sul procedimento amministrativo).
Quest’ultima norma dispone che i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento siano acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre Pubbliche Amministrazioni. L’amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. Analogamente devono essere accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra Pubblica Amministrazione è tenuta a certificare.

Si tratta di un principio di civiltà giuridica analizzato a più riprese dalla giurisprudenza e, da ultimo, dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 1666 depositata il 23 gennaio 2025.
Nel caso di specie una società, poi interessata da una fusione con un’altra, era stata raggiunta da un avviso di accertamento per maggiori imposte in relazione a fatture per operazioni inesistenti. Il PVC era stato notificato alla società incorporata (dopo l’avvenuta fusione) ma non all’incorporante, che aveva ricevuto solamente l’avviso di accertamento. I giudici di appello evidenziavano che la società incorporante non aveva provato, tramite opportuna documentazione, l’inerenza dei costi. In realtà la società aveva consegnato la documentazione relativa alla società incorporata ad un altro ufficio territoriale diverso rispetto a quello che aveva effettuato la verifica.

In merito la Suprema Corte richiama l’indirizzo in base al quale la regola appena richiamata costituisce espressione di un principio generale applicabile anche al processo tributario la quale, allo stesso tempo, presuppone che la documentazione sia già in possesso dell’Amministrazione finanziaria o che, comunque, il contribuente ne dichiari e provi l’avvenuta trasmissione all’Amministrazione stessa (tra le tante, Cass. 21 gennaio 2015 n. 958 e Cass. 22 giugno 2018 n. 16548).

La portata del principio è esplicitata anche dalla sentenza della Cassazione del 20 giugno 2000 n. 8340, secondo cui in tali circostanze l’Amministrazione dovrà fornire risposte circa il possesso e il contenuto dei documenti posseduti. In caso di rifiuto o di risposte generiche e/o immotivate la parte privata potrà esperire le forme di tutela opportune per l’acquisizione dei documenti, e il giudice potrà, eventualmente, trarre argomenti di prova dal comportamento processuale dell’Amministrazione.

Il caso riguardava l’inerenza di costi

Applicando i suesposti principi al caso di specie i giudici di legittimità ritengono assolti gli oneri posti a carico del contribuente. Il rifiuto di esibizione dei documenti non esibiti in sede amministrativa, oltre a presupporre una richiesta circostanziata, non può riguardare documenti che sono già stati prodotti ad un altro ufficio, posto che possono essere agevolmente reperiti dall’Agenzia delle Entrate.

Come se non bastasse, l’ordinamento prevede una ulteriore conferma di questo impianto. L’art. 7, primo comma, lettera f) del DL n. 70/2011 (c.d. decreto sviluppo) prevede che i contribuenti non debbano fornire informazioni che siano già in possesso del Fisco e degli enti previdenziali ovvero che da questi possono essere direttamente acquisite da altre Amministrazioni.

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