Regole fiscali speciali tra l’Italia e la Santa Sede
Solo nel 2015 si è giunti allo scambio di informazioni, non automatico, sui dati fiscali tra i due Stati
I rapporti patrimoniali tra Italia e Vaticano hanno visto nella loro storia tre momenti essenziali.
Il primo è datato 11 febbraio 1929, data della firma dei Patti Lateranensi, con i quali sono stati per la prima volta regolati i rapporti tra Italia e Santa Sede.
Il secondo risale al 18 febbraio 1984, quando l’allora Segretario di Stato vaticano Cardinale Agostino Casaroli e l’ex Presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi ne siglarono l’Accordo di revisione.
Il terzo e ultimo e più recente è quello in cui le due giurisdizioni, il 1° aprile 2015, siglarono un accordo per lo scambio di informazioni ai fini fiscali, tuttora valido ed efficace, il quale contiene peraltro alcune disposizioni tributarie del tutto particolari.
I rapporti sono in genere tesi a riconoscere ampie esenzioni in virtù delle pattuizioni del 1929, così come emendate nel 1984. Per fare un semplice esempio, l’art. 1 comma 759 lett. e) della L. 160/2019 continua a esentare dall’IMU i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli artt. 13, 14, 15 e 16 dei Patti Lateranensi (es. Basilica di San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore, palazzo pontificio di Castel Gandolfo, e così una pluralità di edifici in Roma e dintorni); l’esenzione da imposta è oggettiva, e non dipende dall’utilizzo che se ne fa.
Altre volte la strada prescelta è quella della concessione di agevolazioni. L’art. 7 dell’Accordo di revisione del 1984 stabilisce infatti che, “agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime”. Questo principio è stato applicato, ad esempio, nel contesto del regime fiscale delle fusioni tra enti ecclesiastici (risposta a interpello n. 555/2022).
Ai sensi dell’art. 71 del DPR 633/72, inoltre, le cessioni di beni eseguite con trasporto o consegna nel territorio della Città del Vaticano sono equiparate alle esportazioni e ai servizi internazionali di cui agli artt. 8 e 9 del DPR 633/72, senza che vi sia quindi il materiale addebito dell’IVA.
L’Accordo in materia fiscale del 1° aprile 2015, firmato nel corso della stagione con cui l’Italia ha normalizzato i propri rapporti con altri vicini “sensibili” (Svizzera, Monaco e Liechtenstein), contiene regole per lo scambio di informazioni e un particolare sistema di prelievo delle imposte sui redditi di natura finanziaria, limitato a taluni soggetti (l’Accordo conteneva, peraltro, anche una voluntary disclosure sulla falsariga di quella contemplata nei rapporti con altri Stati).
Le procedure di scambio di informazioni sono su richiesta, e rispondono ai criteri concordati a livello internazionale, compreso il divieto di opporre il segreto bancario; il Vaticano, per contro, non rientra tra le giurisdizioni con le quali sono attivi meccanismi di scambio automatico dei dati dei conti finanziari.
Per i soggetti residenti in Italia e indicati all’art. 2 paragrafo 1 lettera a) dell’Accordo (chierici, dignitari, impiegati, salariati, anche non stabili, e pensionati della Santa Sede), gli enti finanziari della Santa Sede possono determinare i redditi di natura finanziaria con i criteri previsti dall’art. 7 del DLgs. 461/97 (risparmio gestito) e dell’art. 6 del DLgs. 461/97 (risparmio amministrato).
Le imposte sostitutive vengono versate tramite un rappresentante fiscale in Italia.
Con riferimento ai profili riguardanti il monitoraggio fiscale (quadro RW), la Santa Sede rientra nella white list del DM 4 settembre 1996 (l’inclusione è avvenuta proprio dopo l’accordo fiscale del 2015). Non occorre dunque applicare l’approccio look through per l’indicazione degli investimenti esteri dei contribuenti italiani e nemmeno indicare il valore massimo raggiunto dai conti correnti nel corso del periodo d’imposta.
Si ricorda anche che la Santa Sede non è ricompresa nella black list delle persone fisiche di cui al DM 4 maggio 1999 con la conseguenza che:
- non si può dare luogo alla presunzione dell’art. 12 del DL 78/2009;
- si applicano le ordinarie sanzioni ex art. 5 del DL 167/90, dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato, e non quelle raddoppiate;
- l’IVAFE viene assolta con aliquota dello 0,2% sui prodotti finanziari detenuti presso gli enti finanziari vaticani.
Un regime speciale, però, riguarda l’IVAFE dovuta sempre dai sopra menzionati soggetti richiamati dall’art. 2,paragrafo 1 lettera a) dell’Accordo. Infatti, anche in questo caso il versamento è effettuato da parte del rappresentante fiscale degli Enti che svolgono professionalmente un’attività di natura finanziaria nello Stato della Città del Vaticano (ossia, lo IOR), il quale presenta il modello F24 utilizzando il codice tributo “1851” per il versamento del saldo e il codice tributo “1852” per il versamento dell’acconto.
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