Acquisti di usufrutto e nuda proprietà da ripensare
Il prelievo reddituale rende meno conveniente l’operazione per il venditore
In forza dell’art. 67 del TUIR, come oggi vigente (a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1 comma 92 della L. 213/2023) la concessione in usufrutto e la costituzione degli altri diritti reali di godimento su beni immobili non generano plusvalenze “immobiliari” disciplinate dalla lettera b) dell’art. 67 del TUIR, bensì rappresentano una fattispecie a parte disciplinata dalla successiva lettera h) del medesimo articolo.
Gli effetti impositivi di questa “collocazione” non sono di poco conto, in quanto le plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili (lett. b dell’art. 67 del TUIR) sono tassate solamente se la vendita avviene nel quinquennio dal precedente acquisto o dalla loro costruzione, salva l’ipotesi in cui il fabbricato provenga da una successione oppure sia stato adibito per la maggior parte del periodo ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.
Diversamente, nel caso di concessione in usufrutto o costituzione degli altri diritti reali (lett. h dell’art. 67 del TUIR) non vi è l’esimente del possesso ultraquinquennale ed il reddito è costituito, ai sensi dell’art. 71 comma 2 del TUIR, dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla sua produzione ed è tassato nell’anno in cui viene incassato.
Facendo applicazione di queste disposizioni, l’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 133 del 14 maggio 2025 (si veda “Doppio binario per usufrutto e nuda proprietà dell’immobile ceduti a soggetti diversi” del 15 maggio 2025) ha stabilito che l’atto con cui i titolari di un’abitazione la vendono a due soggetti, che acquisteranno l’uno la nuda proprietà e l’altro l’usufrutto, va scomposto nelle sue due componenti, per cui:
- la costituzione dell’usufrutto va ricondotta alla lettera h) dell’art. 67 del TUIR e produce redditi diversi a prescindere dal quinquennio;
- la cessione della nuda proprietà, invece ricade nella lettera b) del medesimo art. 67 e produce plusvalenze tassabili solo se realizzata entro 5 anni dall’acquisto.
Il chiarimento rende necessario valutare con attenzione questo tipo di operazioni, finora abbastanza diffuse.
Dal punto di vista pratico, infatti, capitava non di rado che il privato, volendo acquistare un fabbricato a scopo durevole (sia per abitarvi che per conseguirne un reddito) valutasse, nell’ottica del passaggio generazionale (in presenza di figli), se scindere l’acquisto dell’usufrutto da quello della nuda proprietà: il primo veniva acquistato dal genitore che, conseguentemente, poteva utilizzare o locare l’immobile e la seconda, invece, veniva acquistata dai figli, sovente utilizzando, attraverso una donazione indiretta dichiarata in atto, il denaro messo a disposizione dal genitore stesso.
Inoltre, in caso di acquisto dell’usufrutto da parte di entrambi i coniugi, si poteva apporre la clausola dell’usufrutto congiuntivo, ovvero, in caso di decesso di un intestatario, il diritto di accrescimento.
Per il venditore privato nulla cambiava dal punto di vista fiscale (rispetto all’acquisto della piena proprietà in capo all’acquirente), in quanto l’intera cessione ricadeva nell’art. 67 comma 1 lett. b) del TUIR.
Ora, invece, stando alla risposta n. 133/2025, nel caso in cui l’acquirente decida di “frazionare” i due diritti, il venditore (anche nel caso di vendita dell’immobile posseduto da oltre 5 anni, oppure ricevuto per successione o adibito per la maggior parte del periodo di imposta ad abitazione principale), si troverà a dover pagare l’imposta sulla “costituzione” dell’usufrutto.
A tal riguardo, per determinare il valore del diritto di usufrutto si dovrà ricorrere ai criteri estimativi validi ai fini dell’imposta di registro e basati sull’applicazione dei coefficienti di cui al DPR 131/86, come risultanti, da ultimo, dal DM 27 dicembre 2024, basati sull’età del beneficiario (si veda l’apposita Scheda).
Nel caso si voglia perseguire tale strada è opportuno pattuire fin dal preliminare la volontà, da parte dell’acquirente, di separare la nuda proprietà dall’usufrutto, per evitare, al momento dell’atto, un rifiuto da parte del venditore, oppure un’eventuale successiva richiesta di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità.
Una strada alternativa potrebbe essere quella, per il genitore acquirente, di acquistare la piena proprietà del fabbricato, posto che, in tal caso, per il venditore il corrispettivo della vendita ricadrebbe tra le plusvalenze immobiliari di cui alla lett. b) dell’art. 67 del TUIR. Successivamente all’acquisto, il genitore potrebbe, poi, donare la nuda proprietà ai figli, riservandosi l’usufrutto (eventualmente congiuntivo per tutelare il coniuge).
L’imposta di donazione sarà dovuta solamente al superamento delle franchigie (che, nel caso di discendenti in linea retta sono pari a 1 milione di euro per ciascun beneficiario), tenendo conto che si considera il valore “catastale” dei fabbricati (art. 34 del DLgs. 346/90), applicandovi i coefficienti previsti per usufrutto e nuda proprietà (allegato al DLgs. 346/90). L’atto di donazione sconterà, però, l’imposta ipotecaria nella misura del 2% e quella catastale dell’1%.
Occorre, inoltre, tenere presente che il fabbricato avrà una provenienza donativa, elemento che lo potrebbe rendere meno appetibile in caso di futura vendita nel ventennio (art. 563 c.c.).
Spetterà pertanto ai professionisti incaricati fare un calcolo di convenienza delle varie fattispecie e suggerire al cliente quale possa essere la scelta migliore.
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