Licenziamento per giusta causa con procedura conciliativa senza effetto immediato
Durante il «preavviso lavorato» il rapporto deve considerarsi ancora in essere
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (GMO), il disposto di cui all’art. 1 comma 41 della L. 92/2012 deve ritenersi derogabile in melius, a favore del lavoratore, con riferimento all’individuazione del momento in cui si produce l’effetto estintivo del rapporto di lavoro.
Tale norma va interpretata nel senso per cui il recesso assume rilievo giuridico sin dall’avvio del procedimento conciliativo, ma il lavoratore conserva il diritto al preavviso sicché, se il preavviso è stato dato, l’effetto estintivo si verifica al compimento del relativo periodo. Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15513/2025.
La controversia vedeva protagonista un lavoratore che riceveva una comunicazione preventiva di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il 22 gennaio 2019; veniva quindi collocato in ferie sino alla data del tentativo di conciliazione – 8 febbraio 2019 –, che sortiva esito negativo. Il 9 febbraio 2019 il datore trasmetteva al lavoratore lettera di licenziamento con effetto dal giorno antecedente.
L’8 febbraio 2019, il lavoratore proponeva, altresì, all’INPS domanda di congedo biennale per assistere la madre disabile; tale istanza veniva tuttavia respinta dall’Ente, poiché, a detta di quest’ultimo, al momento della presentazione non sussisteva alcun rapporto di lavoro subordinato.
Il lavoratore presentava, quindi, ricorso, lamentando come al momento della presentazione della domanda di congedo, fosse ancora dipendente della società – soltanto l’11 febbraio 2019 la lettera di licenziamento era entrata nella sua sfera di conoscibilità – e chiedendo, pertanto, da un lato, la condanna della datrice ad effettuare le comunicazioni in rettifica dell’UniLav e, dall’altro, il riconoscimento all’INPS del congedo richiesto e il pagamento dell’indennità.
I giudici di prime e di seconde cure rigettavano le domande del lavoratore.
In particolare, secondo la Corte d’Appello, in forza dell’art. 1 comma 41 della L. 92/2012, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo produce effetti retroattivamente, dal giorno della comunicazione con cui il procedimento ex art. 7 della L. 604/66 era stato avviato,nel caso di specie, dal 22 gennaio 2019; le uniche eccezioni – tassative – previste dalla norma non erano tali da ricomprendere l’ipotesi in esame.
Di diverso avviso i giudici di legittimità che, investiti della controversia, accolgono il ricorso del lavoratore.
Riepilogato il dato normativo in materia di licenziamento per GMO, la Suprema Corte chiarisce come tale impianto costituisca una fattispecie complessa, composta da più fasi. Nella prima fase, il datore di lavoro comunica la sua intenzione di licenziare, indica il giustificato motivo oggettivo e avvia il tentativo di conciliazione. Si passa, poi, alla seconda fase, che si snoda nel procedimento conciliativo, il quale può portare ad un esito negativo. Infine, vi è la terza fase, nella quale si colloca l’atto di licenziamento e la sua necessaria comunicazione al lavoratore.
Alla luce di ciò, la Corte prende in esame l’ipotesi in cui il datore di lavoro comunichi al lavoratore l’intenzione di recedere per giustificato motivo oggettivo, avvii il relativo procedimento conciliativo ma non interrompa il rapporto di lavoro. In questo caso, il periodo in cui il rapporto di lavoro ha comunque avuto esecuzione è considerato ex lege come “preavviso lavorato”.
La circostanza per cui il rapporto non sia stato interrotto e la qualificazione del relativo periodo quale “preavviso lavorato”, secondo i giudici di legittimità, esclude in radice la possibilità di collocare l’effetto estintivo del recesso in un momento anteriore, cioè alla data di comunicazione del tentativo di conciliazione che, quindi, non produce un effetto estintivo immediato e retroattivo.
La Corte di merito, prosegue la Cassazione, avrebbe errato nell’attribuire natura imperativa e quindi inderogabile ad una norma – l’art. 1 comma 41 della L. 92/2012 – che, in realtà, conferisce rilievo alla volontà datoriale di dare o meno il preavviso e al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro. Infatti, gli interessi considerati dal legislatore sono esclusivamente quelli delle parti che possono, in via di principio, derogarvi in melius, a favore del lavoratore.
Posto che la società non aveva interrotto il rapporto di lavoro, e anzi aveva collocato il lavoratore in ferie fino al giorno in cui terminava il procedimento conciliativo con esito negativo, per poi licenziarlo a far data dal quel giorno, la Corte avrebbe dovuto valutare “propriamente” la scelta datoriale, in quanto dotata di una portata derogatoria in melius.
Tanto considerato, viene meno il presupposto per cui era stato negato ogni effetto alla domanda di congedo straordinario biennale presentata dal lavoratore.
I giudici di secondo grado dovranno pertanto rivalutare la vicenda e, quindi, accertare se, presentata l’istanza di congedo durante il preavviso lavorato, quest’ultimo cada in uno stato di quiescenza o di sospensione tale da incidere ulteriormente sul piano temporale dell’effetto estintivo del licenziamento, differendolo nel tempo fino al termine del periodo di congedo.
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