Rinnovo tacito della locazione non abitativa per la durata prevista dalla legge
Ai sensi dell’art. 28 della L. 392/78, il contratto si rinnova tacitamente «di sei anni in sei anni» o «di nove anni in nove anni»
Per le locazioni di immobili adibiti a uso diverso dall’abitazione, la durata è:
- pari a 6 anni con rinnovo automatico di altri 6, salvo disdetta, quando gli immobili sono adibiti ad attività industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico (art. 27 comma 1 della L. 392/78);
- di 9+9 anni se l’immobile urbano è adibito ad attività alberghiere, all’esercizio di imprese assimilate ai sensi dell’art. 1786 c.c. o all’esercizio di attività teatrali (art. 27 comma 3 della L. 392/78).
Quella prevista dalla legge è una durata minima, con la conseguenza che la clausola che prevede un tempo inferiore a quello legale è nulla ai sensi dell’art. 13 comma 3 della L. 431/98 e dell’art. 79 della L. 392/78 e opera l’eterointegrazione del contratto di cui all’art. 1419 c.c., con applicazione della durata legale.
Le parti, dunque, possono stabilire una durata maggiore, che non superi quella trentennale disposta dall’art. 1573 c.c.
L’art. 28 della L. 392/78 prevede che il rinnovo tacito operi “di sei anni in sei anni” e “di nove anni in nove anni”; il contratto si rinnova ex lege se il locatore non comunica la disdetta con lettera raccomandata all’altra parte almeno 12 o 18 mesi prima della scadenza.
Con riferimento alla durata del rinnovo, ci si può chiedere se la rinnovazione operi in ogni caso per la durata legale (6 o 9 anni) o se il rinnovo avvenga per il numero di anni previsti per la durata del primo contratto (per cui, ad esempio, se le parti hanno stabilito che il contratto duri 9 anni, il rinnovo automatico opererà per altri 9).
Per la giurisprudenza, quando le parti hanno previsto una durata contrattuale superiore al minimo fissato dalla legge, va escluso che la rinnovazione tacita del rapporto locatizio, in assenza di diniego di rinnovazione, possa comportare una durata superiore al minimo, e cioè pari a quella stabilita convenzionalmente all’inizio del rapporto, in quanto l’art. 28 stabilisce che per le locazioni non abitative il contratto si rinnova tacitamente di 6 anni in 6 anni e per gli immobili a uso alberghiero di 9 anni in 9 anni (Cass. 14 luglio 2016 n. 14367).
Va, quindi, escluso che, dalla durata più lunga del primo contratto, possa farsi derivare in modo automatico la conclusione che analoga deroga sia stata pattuita anche per il successivo periodo di rinnovazione (Cass. 2 febbraio 2007 n. 2316).
Resta, in ogni caso, possibile per le parti pattuire espressamente che il rinnovo alla prima scadenza operi per una durata superiore a quella minima inderogabile stabilita dalla legge, fermo il suddetto limite di cui all’art. 1573 c.c.
Sarebbe, invece, nulla ex art. 79 della L. 392/78 la clausola con cui le parti, dopo aver stabilito una “prima durata” del contratto superiore a quella di legge (ed esempio, 10 anni anziché 6), limitino il secondo rinnovo a una durata inferiore a quella prevista dall’art. 28 della L. 392/78 (ad esempio, 2 anni), sul presupposto che la durata complessiva sarebbe in ogni caso di 12 anni (come nel caso di 6+6; così Cass. 11 luglio 2006 n. 15718, 26 gennaio 2005 n. 1596 e 24 novembre 2004 n. 22129). Nella decisione del 2004, la Cassazione, sulla base dell’argomentazione suddetta, ha censurato la decisione della Corte d’Appello che aveva ritenuto, con riferimento a un contratto di locazione avente durata pattiziamente concordata in 12 anni, che non si applicasse la disciplina del diniego di rinnovazione alla prima scadenza, sostenendo erroneamente che la finalità dell’art. 28 fosse quella di assicurare al rapporto una durata minima pari a 12 anni.
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