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Non serve la notifica dell’atto di intervento volontario alle parti processuali

Alla controparte l’onere di spiegare il pregiudizio subito della mancata notifica dell’intervento

/ Rebecca AMATO

Martedì, 30 settembre 2025

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L’art. 14 comma 5 del DLgs. 546/92 sancisce che l’atto di intervento in giudizio deve essere notificato alle altre parti del processo.
Tale adempimento, ovvero la notifica dell’atto di intervento, è privo di effetto se la controparte non motiva il pregiudizio che ha subito in conseguenza della mancata notifica.

A questo arresto è pervenuta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26281 del 27 settembre 2025, che ha ritenuto di ammettere comunque l’intervento dell’Agenzia delle Entrate.
Si rammenta che l’art. 14 comma 5 del DLgs. 546/92 stabilisce che: “i soggetti indicati nei commi 1 e 3 [in sostanza gli intervenienti] intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente”.

Il precedente comma 4, a sua volta, prevede che “le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili”.
L’interveniente entra nel processo osservando una procedura simile a quella del ricorrente, nelle forme previste per il ricorso, ex art. 18 del DLgs. 546/92.
Nel caso deciso il giudizio aveva ad oggetto una cartella di pagamento e il ricorrente aveva opposto il ricorso avverso l’Agente della Riscossione.

L’Agenzia delle Entrate, quale ente impositore, interveniva mediante atto di intervento volontario senza che questo fosse notificato alle altre parti in violazione dell’art. 14 comma 5 del DLgs. 546/92.
I giudici di legittimità hanno rilevato che senza dubbio la norma richiamata richiede che l’atto di intervento vada notificato a tutte le parti costituite.

Tuttavia, stabiliscono che “l’inosservanza di tale regola formale, funzionale al rispetto del principio del diritto a contraddittorio e di difesa, può essere superata, nella concretezza della fattispecie, ove l’andamento processuale non abbia inciso su tali prerogative, come avvenuto nella specie in cui l’istante ha dimenticato di rappresentare quale pregiudizio al diritto del contraddittorio e di difesa abbia subito in ragione della mancata notifica dell’atto di intervento.
Sotto tale profilo il secondo motivo palesa una carenza di interesse, essendo svolto soltanto a rivendicare l’osservanza di un modello procedurale”.

In sostanza l’omessa notifica dell’atto di intervento è ascrivibile a una violazione di una “regola formale” (art. 14 comma 5 del DLgs. 546/92) che resta senza conseguenze se il contribuente omette di rappresentare il pregiudizio subito al diritto di difesa e al contraddittorio.

Effetto della pronuncia a parti contrapposte

Vale osservare che la regola processuale impone la notifica alle parti in quanto esse, in mancanza, saprebbero di tale intervento o direttamente in sede di udienza di discussione (se richiesta), oppure consultando il fascicolo del giudizio.
È evidente che la ratio sottostante alla norma risponde alla necessità di garantire il diritto alla difesa di tutte le parti processuali.

Eppure, oggi, la Cassazione non solo degrada la violazione della norma ad una infrazione meramente formale, che “palesa una carenza di interesse, essendo svolto soltanto a rivendicare l’osservanza di un modello procedurale”, ma addirittura chiede al contribuente la “prova di resistenza”.
Non può mancare di chiedersi, però, se il medesimo principio possa astrattamente in futuro essere applicato a parti inverse.

Si pensi all’ipotesi in cui un coobbligato solidale intervenga nel giudizio mediante atto di intervento volontario introducendo nuove argomentazioni (anche complesse) e ne ometta la notifica alle parti pubbliche.
A questo punto, nel rispetto dell’odierno principio di diritto, si dovrebbe concludere che è onere anche della parte pubblica consultare il fascicolo processuale e che questa ove sollevi la violazione dell’art. 14 comma 5 citato, debba farsi carico di spiegare le ragioni per cui si è determinata una lesione al suo diritto di difesa.

In altri termini deve dimostrare che le argomentazioni sarebbero state astrattamente differenti e tali da poter far giungere il giudice tributario ad una decisione diversa da quella adottata a favore del contribuente.

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