ACCEDI
Mercoledì, 19 febbraio 2025 - Aggiornato alle 6.00

EDITORIALE

Dibattito aperto sul limite agli incarichi

/ Enrico ZANETTI

Giovedì, 29 luglio 2010

x
STAMPA

I numeri della ricerca promossa dalla Cerved Group, “Radiografia dei sindaci delle società italiane” (si veda “In arrivo i nuovi princìpi di comportamento del collegio sindacale” di ieri), sono senza dubbio destinati a rilanciare l’annoso dibattito concernente l’opportunità o meno di prevedere dei limiti al cumulo degli incarichi negli organismi di controllo interno delle società, anche per quello che concerne le società non quotate o, più propriamente, le società diverse da quelle di interesse pubblico.

La questione torna alla ribalta periodicamente e sono numerosi i sostenitori di ambo le tesi.
Chi è contrario, solitamente fa leva sull’inammissibilità di un’imposizione per legge delle capacità organizzative e professionali dell’individuo, sottolineando che, semmai, la specializzazione e la preparazione specifica possono rappresentare un valore aggiunto per i controlli.
Senza contare che, sottolineano i contrari all’ipotesi del limite al cumulo, a nessuno viene in mente di limitare per legge il numero di cause che può seguire un avvocato o il numero di pazienti che può operare un chirurgo.

Chi è a favore dell’introduzione del limite, argomenta all’opposto che è fisicamente impossibile assicurare un’adeguata funzione di controllo, quando il numero degli incarichi ricoperti è tale da rendere ragionevole ipotizzare che Sant’Antonio non è evidentemente più il solo a poter vantare il dono dell’ubiquità.
Personalmente, sono convinto che il limite al cumulo degli incarichi di controllo vada introdotto.

Non si tratta di redistribuire pani e pesci (guai anzi a ragionare così e pensare di potersi guadagnare da vivere facendo il libero professionista: meglio un bell’impiego in Comune), ma i parallelismi con avvocati e chirurghi mi convincono poco.
Se la funzione del sindaco non è soltanto quella di svolgere una prestazione nell’interesse di chi lo ha nominato, ma anche (e soprattutto) nell’interesse dei terzi, è del tutto ragionevole che la legge imponga dei paletti organizzativi che, viceversa, non hanno ragione d’essere quando il fruitore della prestazione professionale è solo il committente, come nel caso della parte assistita dall’avvocato o del paziente operato dal chirurgo.

Proprio l’introduzione di un limite al cumulo degli incarichi esalterebbe, anzi, la natura pubblicistica della funzione del sindaco, enfatizzandone la differenza sostanziale rispetto a quella privatistica dell’amministratore.
Ciò peraltro rafforzerebbe ulteriormente, anche in chiave prospettica, quel ruolo di presidio dell’interesse pubblico che è proprio la leva su cui tutti siamo consapevoli di dover agire per evitare che l’utilità stessa dell’istituto venga in futuro nuovamente messa in dubbio, quando i ricordi delle recenti crisi finanziarie ed economiche saranno magari sbiaditi.

Ovviamente, proprio la natura pubblicistica del ruolo, ulteriormente avvalorata dalla previsione di un limite alla libertà organizzativa del professionista, deve implicare che, relativamente allo svolgimento di tale funzione, debbano trovare applicazione tariffe inderogabili dalla contrattazione tra le parti, superando così l’indegno mercanteggio al ribasso cui molto spesso capita di assistere.
Qui non si tratta di redistribuire pani e pesci, ma di essere conseguenti rispetto al ruolo di cui siamo i primi, giustamente, a voler ammantare il collegio sindacale.

Nel farlo, dobbiamo però essere capaci di non far passare l’introduzione del limite al cumulo degli incarichi come una richiesta che sono i commercialisti stessi ad avanzare; altrimenti, ben che vada, ci accontenteranno e, poi, ci chiederanno pure di ringraziarli per questo.

In altre parole, se fare melina sul limite al cumulo pare davvero poco convincente, spenderci un credito per ottenere nulla più che l’apposizione di vincoli al libero esercizio della nostra attività sarebbe strategia quanto meno singolare.
Se invece, nel nome del supremo interesse del Paese, ci dimostrassimo disposti a valutare positivamente l’introduzione del cumulo degli incarichi, purché accompagnata dalla parallela previsione dell’inderogabilità delle tariffe minime per i collegi sindacali, proprio in ragione della natura pubblica della funzione svolta che l’introduzione stessa del limite presuppone, ebbene: non saremmo di fronte a quelle situazioni in cui si fa qualcosa di giusto e al tempo stesso tutti ci guadagnano qualcosa?
Per giocarla, bisogna però anzitutto capire chi non è d’accordo, chi lo è e chi ha eventualmente posizioni intermedie.
Il dibattito sul limite al cumulo degli incarichi è (per l’ennesima volta) aperto.

TORNA SU