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EDITORIALE

L’insostenibile sostenibilità del sistema previdenziale

/ Enrico ZANETTI

Martedì, 8 marzo 2011

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“Credo che dopo circa un ventennio il cantiere delle riforme della previdenza si possa considerare concluso. È necessario però che soprattutto i giovani assumano un atteggiamento nuovo verso la pensione, perché il sistema sarà molto diverso da quello che c’era in passato. È molto importante, per esempio, riscattare subito il periodo di laurea, evitare di lavorare in nero, iscriversi a un fondo pensione complementare”.
Il virgolettato è attribuito dal Corriere della Sera ad Antonio Mastrapasqua, Presidente dell’INPS, nell’ambito di un’intervista uscita la scorsa domenica con la quale, tra le altre cose, Mastrapasqua ha confermato anche che non è intenzione dell’INPS costruire un sistema informativo che consenta ai giovani di simulare le pensioni che possono attendersi sulla base della proiezione futura del loro attuale livello di contribuzione (forse il timore di sommovimenti sociali non era solo una battuta?).

Ammesso e non concesso che il sistema previdenziale italiano abbia davvero raggiunto una condizione di reale sostenibilità di lungo periodo (cosa che, di per se stessa, sarebbe oggettivamente un grandissimo risultato), quello che implicitamente trapela dalle parole del Presidente dell’INPS è che la questione ulteriore della sostenibilità delle future pensioni dei giovani di oggi non è evidentemente anch’essa un problema del sistema, ma appunto solo dei giovani medesimi.
Certo: c’è preoccupazione e dispiacere, si lanciano allarmi, però si arrangiassero questi benedetti giovani, perché, ora che il sistema è sostenibile, il cantiere delle riforme si chiude.
Vogliono pensioni soltanto più basse di quelle dei loro padri e non addirittura a livello della pensione sociale di vecchiaia che percepirebbero anche in assenza di contribuzione?
Ebbene: riscattassero da subito gli anni di laurea, versassero ulteriori contributi a forme di previdenza complementare ed evitassero di lavorare in nero.

Come se non si sapesse che lavorare in nero, nella generalità dei casi, è qualcosa che esula dalla potestà decisionale del giovane in cerca di lavoro.
Come se si ignorasse che privarsi di somme ulteriori, dopo aver pagato le tasse e i contributi obbligatori, per destinarle al proprio futuro remoto, è una scelta di lungimiranza tanto più impossibile quanto più debole e precaria è la posizione presente di chi dovrebbe valutarla.

Se il sistema previdenziale italiano ha raggiunto la sostenibilità, lo deve essenzialmente al fatto che i giovani di questo Paese, quelli della “generazione 100% contributivo”, si sono fatti interamente carico del debito previdenziale latente sino ad allora maturato, permettendo a chi li ha preceduti di poter godere di diritti acquisiti fondati sul presupposto che chi li segue non può a sua volta acquisirli.
La vera sostenibilità, quella da progettare e difendere come bene comune, è però quella che si fonda su diritti a loro volta sostenibili per tutti.
Quella che si fonda invece sul diritto acquisito da alcuni e non ulteriormente acquisibile da altri non è vera sostenibilità: è la calma apparente prima della tempesta perfetta.

In genere, si dice che le giovani generazioni hanno mostrato grande senso di responsabilità nell’accettare di farsi carico di questo debito previdenziale latente.
La verità è molto diversa: le giovani generazioni non hanno accettato proprio niente e, se proprio dovessero compiere un atto senziente, è probabile che sarebbe quello di far letteralmente saltare il sistema.
Perché è evidente che, nella misura in cui la raggiunta sostenibilità del sistema viene considerata come un punto di arrivo e un presupposto per fermare le macchine del cantiere delle riforme, allora, paradossalmente, dal loro punto di vista è meglio che il sistema torni insostenibile sul lungo periodo, si riapra il cantiere e ci si metta tutti attorno a un tavolo per trovare un punto di incontro tra chi ha troppo in termini di diritti acquisiti e chi ha troppo poco in termini di diritti acquisibili.

Per costruire così la vera sostenibilità previdenziale di cui questo Paese ha bisogno: quella sociale delle persone, oltre a quella attuariale dei bilanci.
Questa, per quanto scomoda e chiaramente provocatoria, è la lezione di cultura previdenziale che i giovani hanno il diritto di sentirsi impartire; non quella che, se vogliono pensioni un po’ meno indecenti, devono versare, attingendo a non si sa bene quali riserve auree personali, più del minimo obbligatorio di contributi e per il resto tutto va bene così com’è, perché il sistema è sostenibile e il futuro, di alcuni, è al sicuro.
Una lezione che, pare a questo punto tristemente evidente, solo i giovani potranno trovare il coraggio di impartire a loro stessi.

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