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EDITORIALE

Governo tecnico va bene, ma riformatore o dirigista?

/ Enrico ZANETTI

Martedì, 15 novembre 2011

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Le difficoltà che Mario Monti sta trovando nel formare il nuovo Governo sono, in parte, l’inevitabile conseguenza di uno scenario politico particolarmente sofferto, ma in parte se le è pure andate a cercare.

La missione che Mario Monti si è autoassegnato, stando al tenore delle sue prime dichiarazioni, è quella di combattere tutti i privilegi nel nome della crescita economica e dell’equità sociale.
Una missione che, francamente, nessuno gli aveva chiesto e, soprattutto, nessuno può realmente gradire di attribuire a un Governo prima ancora di capire quale sarà la sua composizione.

Prendiamo, ad esempio, le libere professioni e gli Ordini professionali.
Nell’ultimo periodo sono stati oggetto di ripetuti interventi, ma è più che probabile che altri potrebbero riguardarli, non fosse altro perché li si cita di continuo.
Il prossimo Governo annovererà tra i suoi componenti qualche tecnico proveniente da questo blocco sociale, scelto ovviamente tra quelli meno inclini a sterili difese corporative?
Se la risposta si rivelerà negativa e ciò nonostante nell’agenda delle priorità si ponessero proprio ulteriori riforme in questo ambito, sarà difficile che gli oltre due milioni di liberi professionisti possano sentirsi partecipi di un processo di rinnovamento del Paese, invece che l’anello debole su cui, per comodità e pregiudizio, ci si scaglia prima e più duramente che altrove.

A questo, che è un esempio, potremmo aggiungerne altri altrettanto evocativi.
Un Governo tecnico che, pur proponendosi di toccare tutti i privilegi, partisse con una composizione che non tenesse conto delle eccellenze tecniche reperibili in tutti i diversi settori della società civile, sarebbe destinato a suscitare diffidenze più che a mietere successi.
Uno squilibrio nella composizione a favore di tecnici di primo piano della Pubblica Amministrazione e delle varie Authority pubbliche, come ad esempio l’Antitrust o la Banca d’Italia, solo per citarne alcuni, potrebbe essere accettabile se la missione di quel Governo tecnico fosse l’ordinaria amministrazione in vista delle future elezioni.

Se però si parla di riforme a tutto campo, le cose cambiano e gli equilibri, sociali prima ancora che partitici, tornano a essere garanzia fondamentale di un pari equilibrio nell’azione riformatrice del Governo.

Le riforme vanno fatte guardando al Paese nella sua interezza

Le riforme vanno fatte a favore del Paese nella sua interezza, coinvolgendo e responsabilizzando le eccellenze tecniche e politiche che in questi anni, nei diversi settori, hanno saputo connotarsi per una visione più ampia della mera difesa a oltranza del proprio orticello; non invece contro parti del Paese, lasciando che alcuni blocchi sociali più forti spadroneggino su altri e affidando magari riforme di interi comparti economici a soggetti che non ne hanno una conoscenza diretta, quando non sono addirittura in aperta antitesi rispetto ad essi.

È proprio da queste scelte sulla composizione dell’Esecutivo che si potrà capire quello che oggi è oggettivamente ancora non del tutto chiaro, ossia se lo scenario che si profila all’orizzonte è quello di un Governo tecnico espressione della società civile e genuinamente riformista, oppure espressione di poche cerchie di illuminati e meramente dirigista.

Le premesse inducono a qualche legittimo timore, ma sarà un piacere vederle smentite dai fatti, quando avremo conferma che questo Governo non sarà una mera sommatoria di docenti liberisti che, forse, potrebbero cominciare proprio dal mondo dell’università cui appartengono a dare maggiore spazio a logiche meritocratiche e a sconfiggere il familismo; di alti dirigenti della Pubblica Amministrazione decisi a spiegarci le virtù del libero mercato, senza averci mai operato una volta nella vita; di politici ultrasettantenni pronti a sacrificarsi come “padri della patria”, ma per nulla disposti a sacrificare quelle pensioni di svariate centinaia di migliaia di euro per colpa delle quali è tuttora incerto il futuro dei “figli della patria”.
Perché, se così fosse, persa per persa, meglio allora una nuova opportunità per il popolo sovrano.

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