Non sono «leggende metropolitane» i premi di risultato a dirigenti dell’Agenzia
Tra gli obiettivi incentivati, un incasso pari a 10,2 miliardi, derivante dall’azione totale per il contrasto degli inadempimenti dei contribuenti
Riceviamo e pubblichiamo l’intervento dell’Onorevole Enrico Zanetti, Vicepresidente della Commissione Finanze della Camera.
È veramente sorprendente che il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, durante il suo intervento a Telefisco, abbia ancora una volta affermato che è una “leggenda metropolitana” l’esistenza di premi per la cattura degli evasori. Nemmeno a farlo apposta, nei giorni scorsi ho depositato proprio su questo tema un’interrogazione parlamentare cui dovrebbe essere data risposta mercoledì prossimo.
Come per la generalità dei dirigenti pubblici, anche per quelli dell’Agenzia delle Entrate una parte della remunerazione annua è variabile e agganciata al raggiungimento di determinati risultati. E che non si tratti di una parte secondaria della remunerazione complessiva lo dicono i numeri, posto che la remunerazione dei dirigenti di prima fascia dell’Agenzia oscilla da un minimo di 153.802,87 a un massimo di 363.407,52 euro e quella dei dirigenti di seconda fascia oscilla da un minimo di 67.870,57 a un massimo di 114.519,31 euro.
Gli obiettivi incentivati che devono essere raggiunti, ai fini del diritto alla percezione della retribuzione di risultato, sono fissati dalla Convenzione tra MEF e Agenzia delle Entrate e sono suddivisi tra obiettivi “area controlli”, obiettivi “area servizi” e obiettivi “area staff”, ciascuno con un suo specifico punteggio.
Tra questi obiettivi incentivati se ne annoverano due che meritano una particolare attenzione.
Il primo: un incasso pari almeno a 10,2 miliardi di euro, derivante dall’azione complessiva dell’Agenzia per il contrasto degli inadempimenti dei contribuenti.
Il secondo: una percentuale pari almeno al 59% di pronunce in tutto o in parte favorevoli all’Agenzia nei vari gradi di giudizio, sul totale di pronunce divenute definitive nell’anno corrente.
Considerata l’aleatorietà intrinseca dell’attività di controllo, la previsione di un obiettivo quantitativo di tipo monetario (il riscosso per il tramite dell’attività dell’Agenzia), peraltro con il peso maggiore tra quelli assegnati ai diversi obiettivi incentivati, pare diabolicamente perfetto per snaturare la mission dell’Agenzia da quella di “cercare gli evasori” a quella di “trovare gli evasori”.
E non è difficile comprendere che, quando il compito non è più cercare, bensì trovare, imbattersi in contribuenti onesti può diventare una diseconomia operativa, rispetto agli obiettivi incentivati, da “correggere” forzando magari pro Fisco alcune interpretazioni, con modalità operative più da avvocato di parte privata che da dirigente di organismo pubblico di garanzia.
Lascia inoltre significativamente perplessi, a essere gentili, che l’obiettivo correlato alla percentuale di vittorie dell’Agenzia in sede contenziosa sia considerato soddisfacente quando la percentuale, comprese le vittorie soltanto parziali, raggiunge il 59%. Questa percentuale implica infatti un giudizio di soddisfazione (addirittura da far scattare il meccanismo premiale) in un contesto in cui l’Agenzia si trovasse a soccombere integralmente nel 41% dei casi, essendo invece chiaro che di fronte a percentuali di soccombenza integrale superiori al 20-25% bisognerebbe implementare un meccanismo penalizzante piuttosto che premiante.
In tutto questo, ce n’è a sufficienza da porsi la domanda se non sarebbe quanto mai opportuna una modifica di queste parti della Convenzione, tra MEF e Agenzia delle Entrate, finalizzata a ridurre la sua potenzialità di fattore di aggravamento del tasso di litigiosità tra Fisco e contribuenti, ma anche modifiche ulteriori finalizzate ad accrescere la trasparenza nei rapporti interni all’Agenzia, perché altro aspetto che appare delicato è quello della ripartizione a livello locale degli obiettivi nazionali.
I premi infatti li prende solo la dirigenza e non gli altri dipendenti, i quali spesso si ritrovano così tra l’incudine e il martello, finendo per lavorare in condizioni di stress e frustrazione elevatissimi, per la consapevolezza di dover dare seguito ad indirizzi che a volte essi stessi per primi trovano eccessivamente aggressivi, rispetto ad interpretazioni serene delle norme.
Anche all’interno della dirigenza stessa, però, le cose non vanno meglio, perché i criteri di suddivisione e ripartizione dell’obiettivo nazionale di 10,2 miliardi di riscossione sono tutt’altro che chiari, trasparenti e facilmente verificabili anche per i diretti interessati. La loro suddivisione e ripartizione con riferimento al singolo ufficio (e, quindi, al singolo dirigente) avviene infatti sulla base di criteri che non sono pubblicizzati all’esterno e di difficile individuazione e ricostruzione anche da parte di coloro che sono oggetto della valutazione con il sistema interno all’Agenzia denominato SIRIO.
Chi, più del MEF, dovrebbe porsi tutti questi interrogativi nell’interesse di cittadini contribuenti e dei cittadini dipendenti e dirigenti dell’Agenzia? Proprio perché, evidentemente, il MEF questi interrogativi continua a non porseli da solo, ho depositato nei giorni scorsi apposita interrogazione a tutela di quegli stessi cittadini.
E sono veramente onorato di poter essere il tramite attraverso cui verrà così restituito ai cittadini il ruolo di sovrani che pongono domande a chi deve lavorare per il loro interesse, laddove altri vorrebbero relegarli al ruolo di sudditi da ammansire con, quelle sì per davvero, “leggende metropolitane”.
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