Abbiamo bisogno di un equo compenso legato ai parametri giudiziali?
Gentile Redazione,
l’Antintitrust ha bocciato la norma sull’equo compenso, mi sarei stupito del contrario, ma noi commercialisti avevamo bisogno di una norma di tale portata?
La norma prevede la sua applicazione nei confronti di imprese bancarie, assicurative e imprese che non rientrano nella definizione di micro imprese o PMI, cioè quelle imprese che hanno un numero medio di dipendenti superiori a 250 unità, un fatturato superiore a 50 milioni di euro ed un totale di attivo patrimoniale superiore a 43 milioni di euro.
I dati di una ricerca della FNC del 2015 ci ricordano che circa l’86% dei commercialisti trae oltre l’80% delle proprie entrate da attività di elaborazione dati contabili e predisposizione degli adempimenti dichiarativi, quindi presumibilmente non saranno molte le occasione in cui invocare il ricorso all’equo compenso per i colleghi
Inoltre la normativa sull’equo compenso prevede come termine di paragone il compenso determinato secondo i parametri giudiziali emanati a seguito dell’abolizione delle tariffe professionali (ad esempio, con riferimento ai dottori commercialisti ed esperti contabili il DM 140/2012).
Per capire che cosa sono in realtà i parametri, il seguente esempio di applicazione degli stessi nell’ambito delle prestazioni di tenuta della contabilità è illuminante (art. 23 del DM 140/2012 e riquadri 5.1 e 5.2 di cui alla tabella C - dottori commercialisti ed esperti contabili).
Per determinare il valore della pratica per la determinazione del compenso si prende come base “l’ammontare dei componenti positivi di reddito”.
Ora l’ammontare dei componenti positivi di reddito non è una grandezza, da sola, in grado di poter misurare in concreto il grado di complessità della prestazione di tenuta della contabilità.
Per determinare la complessità della prestazione occorre tener conto oltre al volume dei ricavi che in qualche modo può delineare il confine di una responsabilità patrimoniale (se sono 50.000 euro corro un certo tipo di rischio se sono 5.000.000 di euro il rischio è più alto) è necessario tenere di conto anche del numero di registrazioni che comporta la tenuta di quella contabilità.
Posso avere infatti 100.000 euro di componenti positivi di reddito generati da 10 fatture di provvigione da 10.000 euro ciascuna e posso invece aver gli stessi 100.000 euro che invece sono il frutto dell’emissione di 1.000 fatture dal valore medio di 100 euro ciascuna; indubbiamente il tempo per gestire la registrazione di 10 fatture non è quello che occorre per gestirne 1.000.
Inoltre in contabilità semplificata, quando ho registrato la fattura sui registri IVA la prestazione è finita, in contabilità ordinaria oltre alla registrazione della fattura poi devo registrare sia il credito che emerge dall’operazione e successivamente l’incasso, quindi per ogni operazione di vendita le scritture sono almeno tre e non una.
Precisato ciò vediamo che cosa dispongono in merito i parametri a parità di volume dei ricavi, ipotizzato in 100.000 euro.
Contabilità semplificata: il compenso è determinato in percentuale a scaglioni, dal 3 al 4% fino a 50.000; dal 2 all’1% da 50.001 fino a 100.000, dallo 0.5% all’1% per valori superiori a 100.000; questa progressione nel nostro esempio genera un compenso che va da un minimo di 2.000 euro ad un massimo di 3.000 euro annui.
Contabilità ordinaria, dove come detto già si lavora di più, si prevede un compenso determinato in percentuale sia sui componenti positivi di reddito, dallo 0,3% allo 0,5%, che sulle componenti patrimoniali di attivo, dallo 0,02% allo 0,06%, e passivo, dallo 0,02% allo 0,065%. Sviluppando i calcoli otteniamo sull’ammontare dei componenti positivi diretto un compenso da 300 a 500 euro all’anno, mentre per la componente patrimoniale, per la quale ipotizziamo un totale attivo di 100.000 euro ed un totale passivo di 90.000, sempre su base annua otteniamo un compenso aggiuntivo da 20 a 60 euro sulle attività ed un compenso aggiuntivo da 18 a 58,50 sulle passività; per un totale complessivo che va da un minimo di 338 euro ad un massimo di 618,50.
In pratica l’ordinaria in media prevede il triplo del lavoro rispetto ad una semplificata e il compenso è di 1/6 rispetto a questa.
Serve altro per dimostrare l’inutilità dei parametri giudiziali?
Alessandro Lini
Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti Contabili di Pisa
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