Le presunzioni tributarie possono giustificare la misura cautelare del sequestro
La Cassazione, con la sentenza n. 8047 depositata ieri, traccia i confini tra dichiarazione infedele e abuso del diritto.
In un caso in cui era stato ordinato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente a fronte della contestazione della fattispecie prevista dall’art. 4 del DLgs. 74/2000, i giudici di legittimità si soffermano sulla natura simulata (o meglio, dissimulata) di un’operazione di vendita di quote di partecipazione di una sas da cui era conseguito un abbattimento delle plusvalenze iscritte a bilancio, superiori a 1.500.000 euro.
Va evidenziato che le nozioni di elusione fiscale o abuso del diritto – come oggi previste dall’art. 10-bis della L. 212/2000 a seguito della riforma operata dal DLgs. 128/2015 – non hanno rilevanza penale e hanno applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni che sanzionano l’evasione vera e propria, di cui al DLgs. 74/2000. Pertanto, non può assumere rilievo autonomo un eventuale abuso che integri allo stesso tempo una delle fattispecie penalmente rilevanti.
Nel caso in esame, dunque, l’operazione finalizzata a realizzare una minusvalenza detraibile idonea ad abbattere le plusvalenze realizzate nel medesimo anno di imposta (elemento positivo di reddito) puó integrare gli elementi costitutivi del reato di dichiarazione infedele ed è, in quanto tale, penalmente rilevante.
La Cassazione coglie anche l’occasione per ribadire che le presunzioni tributarie – pur non costituendo una prova nel processo penale – possono di per sé sole giustificare la misura cautelare del sequestro (cfr. Cass. n. 25451/2016).
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