Il trasferimento per incompatibilità ambientale non va ricondotto a ragioni punitive e disciplinari
Con la sentenza n. 27226, depositata ieri, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di trasferimento del lavoratore per incompatibilità ambientale.
Nel caso specifico, il trasferimento era stato determinato dall’esigenza di risolvere una situazione di conflittualità che si era venuta a creare in un piccolo ufficio e dalla necessità di evitare che la situazione potesse compromettere il funzionamento dell’unità produttiva a causa della degenerazione del rapporto personale – per vicende non attinenti all’ambito lavorativo – tra il lavoratore poi trasferito ed una collega.
Con la sentenza di ieri la Cassazione ha ribadito che:
- il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilità ambientale va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 c.c. e non a ragioni punitive e disciplinari, trovando il suo fondamento nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva;
- per essere legittimo, non deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, ma è sufficiente che concreti una delle scelte ragionevoli che il datore possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo per rimuovere la situazione suscettibile di pregiudicare l’ordinato svolgimento dell’attività;
- il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato (art. 2103 c.c.) dev’essere diretto ad accertare solo se l’incompatibilità realizzi un’obiettiva esigenza aziendale di modifica del luogo di lavoro, mentre non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale.
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