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EDITORIALE

La cessione fatta dal commercialista mina l’ordinamento, meglio soprassedere

/ Giancarlo ALLIONE

Giovedì, 11 aprile 2019

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Ora che c’è la fattura elettronica va tutto da sé. Pago il canone alla software house, mi collego all’hub, scarico il file, invio, invio e tutto è fatto.
Sono addirittura nati mestieri nuovi. Tutti skill che fino allo scorso anno non erano richiesti dal mercato e dei quali, con la reattività che ci contraddistingue, ci siamo prontamente appropriati.

Fra tutti, il più affascinante è il guardiano delle fatture: una figura che ogni mattina, e spesso più volte al giorno, scruta il web per controllare che tutte le fatture attive inviate siano andate a buon fine e verifica se all’orizzonte sono apparse nuove fatture passive.

Oggi, finalmente liberi dal fardello del caricamento delle fatture, abbiamo per la prima volta un sacco di tempo libero che ben vorremmo dedicare a ulteriori nuove competenze, a quei lavori a valore aggiunto per i quali abbiamo studiato, abbiamo sostenuto l’esame di Stato e abbiamo adempiuto ogni anno obblighi formativi e deontologici.

Con il candore d’animo che ci contraddistingue, abbiamo allora salutato con entusiasmo la proposta di legge C. 1074 per la semplificazione fiscale e soprattutto, fra gli emendamenti presentati, quello che avrebbe consentito, in caso di cessione o affitto d’azienda, l’autenticazione della sottoscrizione della scrittura e il relativo deposito anche a commercialisti e avvocati.

Ma il sogno, come tutti i sogni, è durato poco. L’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia ha prontamente fornito il parere contrario. Il dato normativo è inoppugnabile: l’emendamento avrebbe infatti creato una palese “deroga ai principi della legge 89/1913” (legge sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili), senza parallelamente estendere ai nuovi soggetti “i vincoli, le garanzie e i divieti della medesima legge notarile e senza verifica dell’acquisizione della medesima specializzazione”. Stessa delicata questione rispetto alla conservazione delle scritture stesse, posto che la novella avrebbe creato un vuoto nella disciplina. Sempre il Ministero ricorda infatti che “il regime di conservazione degli atti da parte dei notai comporta anche il coinvolgimento dell’archivio notarile, sottoposto a una specifica disciplina”.
Nulla quaestio: il rigore dell’interpretazione giuridica non lasciava e non lascia spazio agli uffici del Ministero per una diversa interpretazione.

Il mondo reale tuttavia si evolve. Oggi esiste la firma elettronica per provare l’identità, esiste la possibilità di depositare telematicamente le scritture direttamente all’Agenzia delle Entrate, come avviene per i contratti di affitto, e l’Agenzia le può conservare facilmente sine die e permetterne la consultazione alle parti, o al mondo intero comodamente, dal divano di casa.
Almeno in Italia, non esiste azienda che non sia nata, cresciuta, abbia assunto valore senza l’intervento di uno o più commercialisti. Un marziano, posizionato sulla luna, guardando giù faticherebbe molto a capire perché un commercialista può liberamente dare il proprio supporto professionale alla creazione di un’azienda, al suo sviluppo e, se abbastanza somaro, alla sua distruzione, ma non alla sua cessione.
Allo stesso modo, da un punto di vista sostanziale gli riuscirebbe difficile darsi ragione di come sia possibile che il medesimo commercialista possa curare la redazione e il deposito di un contratto di affitto di un capannone industriale da 50.000 euro al mese e non possa curare l’affitto di un’azienda avente per oggetto un’edicola che a stento arriva a fatturare 25.000 euro all’anno. Oppure ancora, perché può curare la cessione di quote di una srl con un’azienda del valore di 500 milioni mentre non può curare la cessione dell’edicola di cui sopra, dove a stento troveremmo qualcuno disposto a riconoscerle il valore di 20.000 euro.

Ma a questo serve la politica. A immaginare il futuro, senza subordinare tutto ai vincoli dell’interpretazione normativa che da soli sclerotizzerebbero sine die ogni cosa, privilegi e ingiustizie compresi. E a questo è servita di recente, in occasione dell’inclusione dei consulenti del lavoro tra coloro che potranno iscriversi al nuovo Albo dei soggetti ammessi alle funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore nelle procedure di crisi e di insolvenza.

Tirando dritto, senza prestare orecchio alla sfavorevole nota tecnica del Ministero della Giustizia, la “Politica” ha privilegiato quello che era a suo giudizio il superiore interesse della collettività di allargare lo spettro delle professionalità attivabili in sede di scelta del professionista, rispetto alla difesa di prerogative palesemente corporative.

Questa volta invece no. Il Parlamento ha provato a intervenire, ma come accade alle volte nel calcio, di fronte alla veemenza dei difensori, ha evidentemente dovuto tirare indietro il piede. Dunque via l’emendamento. La necessità di ampliare per gli imprenditori il ventaglio delle professionalità fra le quali scegliere in caso di cessione o affitto di azienda non è meritevole di accoglimento. Facciano con quello che hanno, che andrà benissimo come benissimo è andata finora.

Siamo pur sempre 120.000 (con coniugi, figli, genitori, dipendenti rappresentiamo un mondo composto da non meno di un milione di persone). Non ci resta che provare a ricordarcene alle elezioni. I funzionari non si possono scegliere, i politici sì.

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