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EDITORIALE

Per i professionisti niente di niente

/ Giancarlo ALLIONE

Venerdì, 27 marzo 2020

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I generali affrontarono la prima guerra mondiale applicando tattiche e strategie militari sostanzialmente ancora di matrice napoleonica. Nel frattempo, le armi si erano però di molto evolute, e quindi gli assalti alla baionetta riuscivano solo a generare carneficine.
La sensazione, sia a livello nazionale che a livello europeo, è proprio che i generali stiano affrontando un nemico dotato di un’arma nuova e micidiale con tecniche obsolete già prima di cominciare.

Se va bene, alla fine dell’anno mancherà il 10-15% del Pil. Di per sé non sembra una tragedia. Sarebbe il Pil di 10 o 15 anni fa. Nel 2000 non pensavamo di essere in rovina, né di stare vivendo una catastrofe.
Allora dov’è il problema? Il problema è che il blocco delle attività rischia di bloccare la circolazione del denaro. La paura di rimanere senza reddito per le persone e senza entrate per le imprese induce alla reazione banale di bloccare pagamenti.

Come ha evidenziato Mario Draghi con la consueta lucidità, è prioritario per gli Stati utilizzare tutte le loro risorse “per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock che il settore privato non può assorbire”, senza paura di ricorrere al debito.
Le autorità per dare alle persone la sicurezza che non saranno lasciate prive di risorse per tutto il tempo che servirà, dovrebbero subito e in modo diretto inondare di liquidità le famiglie e mettere le banche in condizione di finanziare le imprese a costo e rischio zero, incoraggiando parimenti tutti a onorare i pagamenti. Come per altro facciamo quando andiamo a comprare la mozzarella, che appunto paghiamo diligentemente pur in presenza di coronavirus.

Una sorta di dottrina ultra-keynesiana, dove saremo pagati e pagheremo per non scavare buchi e per non tapparli. Una specie di paese dei balocchi dove le persone vengono pagate per non lavorare, pagano per non comprare e incassano per non vendere. Sembra fantascienza, ma si può fare e sarebbe l’unico modo per evitare che si inneschi una spirale inesorabile di default dagli esiti al di là dell’immaginabile e poi, dovesse durare davvero solo qualche mese, non penso avrebbe conseguenze particolari. 

Invece a Bruxelles si continua cincischiare con bond si, no, forse. In Italia si continuano a introdurre moduli e complicazioni, supportati da infiniti distinguo, come la miriade di casistiche in cui sono stati suddivisi i contribuenti rispetto alla proroga dei versamenti.
Sono stati annunciati ulteriori provvedimenti economici. Vedremo.
L’occasione sarebbe ghiotta anche per correggere alcune palesi storture.

Il reddito di pensionati, più o meno d’oro non è stato messo in alcun modo in discussione. Se lo ritroveranno pari pari quando tutto sarà finito. Anzi saranno più ricchi, perché la vita in quarantena costa assai meno.
Mentre migliaia di ragazze e ragazzi a 1.500 euro al mese vanno in ospedale tutti i giorni a rischiare la vita, tengono aperti i supermercati, guidano camion per consegnare cibo e medicinali, o per raccogliere la spazzatura, qualcun altro continua ad incassare migliaia, se non decine di migliaia, di euro di pensione al mese. Questo grida vendetta e qualche piccola redistribuzione della ricchezza, come si dice, a favore di chi, rischiando, lavora andrebbe considerata.

I dipendenti pubblici, almeno sotto il profilo economico, sono tutti protetti al 100%, continuando a ricevere stipendio pieno e quando tutto sarà finito ritroveranno il loro posto di lavoro. Tuttavia, dal punto di vista pratico, andare in ospedale a curare malati o fare oggi qualche tipo di smart working in un ufficio regionale del turismo non sembra la stessa cosa. Anche su questo, qualcosina, anche solo di simbolico, andrebbe fatto.

I dipendenti privati, se lavorano in smart working o per davvero, conservano al momento invariato il loro reddito. Diversamente potranno perdere parte dello stipendio, laddove venissero posti in cassa integrazione. Per costoro, la certezza di ritrovare ancora il posto quando tutto sarà finito ovviamente non c’è. Del doman, per i comuni mortali, non v’è certezza.

Infine, ci sono imprenditori e professionisti. Escludendo forse qualche commerciante, pochi si arricchiranno con questo disastro e cosa rimarrà delle loro attività alla fine è tutto da vedere. Solo per quelli iscritti alla previdenza INPS, il decreto Cura Italia ha previsto una mancia di 600 euro per marzo, ripetibile ad aprile.
Per tutti gli altri niente. Niente di niente.

Per noi consulenti d’impresa iscritti ad albi, il destino è come sempre doppiamente beffardo.
Non un comma di qualsivoglia decreto sarà applicato e non un euro delle misure previste arriverà a destinazione, se prima non è compreso e studiato da commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro, spiegato ai loro clienti e infine attuato attraverso gli inevitabili complessi adempimenti.

Ciò non di meno, per coloro che nella salvezza delle imprese saranno essenziali quanto i sanitari per le persone, il decreto Cura Italia non ha previsto nulla, né in termini di integrazione del reddito perduto né di supporto all’acquisto delle tecnologie hardware e software che si sono rese necessarie per non dover chiudere gli studi.
Che dire?
Speriamo che qualcuno capisca davvero cosa abbiamo di fronte e, in attesa che saltino fuori le chiavi, trovi il coraggio di rompere il vetro del mobiletto dell’antidoto prima che il veleno uccida il paziente.

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